Agricoltura sociale e l’impresa agricola multifunzionale

1. Inquadramento normativo

Con il termine agricoltura sociale si individua una pluralità di esperienze del tutto variegate1, tanto da integrare, nell’attività agricola, iniziative di carattere socio sanitario, educativo, di formazione e inserimento lavorativo, di ricreazione, dirette, in particolare, a fasce di popolazione svantaggiate o a rischio di marginalizzazione2.

In questo contesto, il Legislatore – con la L. 18 agosto 2015, n. 1413 – ha creato una nuova modalità di esercizio d’impresa in agricoltura, non più finalizzata esclusivamente al profitto, ma anche all’inclusione sociale e lavorativa di persone vulnerabili. Essa fornisce, inoltre, servizi alla popolazione e alle comunità locali, coinvolgendo differenti attori pubblici e/o privati, di volta in volta, interessati ad operare in specifici settori4.

L’agricoltura sociale si è sviluppata in Italia, attraverso azioni locali, a partire dalla seconda metà degli anni ’70 ed è caratterizzata da una notevole differenziazione sul territorio sia per quanto riguarda i soggetti coinvolti che le attività realizzate.

2. I soggetti partecipanti

Due figure giuridiche sono destinatarie di queste specifiche previsioni di legge: gli imprenditori di cui all’art. 2135 c.c., in forma singola o associata e le cooperative sociali.

Anche se non ve ne è necessità, ricordiamo che la prima categoria contempla chi esercita un’impresa di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e cioè attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, in cui il fondo, il bosco o le acque sono elemento strumentale determinante. A questo elenco si aggiunge colui che esercita attività agricole connesse, ovvero attività strumentali e complementari svolte parallelamente e funzionalmente all’attività principale di produzione dei prodotti agricoli, in modo da costituirne la naturale integrazione.

ConsulenzaAgricola 11 2021

D’altro canto, le cooperative sociali sono imprese senza scopo di lucro, alle quali la Legge n. 381/1991 ha attribuito il compito di perseguire finalità d’interesse collettivo e promuovere un nuovo equilibrio tra i princìpi manageriali (competitività, efficienza, economicità) e quelli di intervento sociale. Questa specifica forma d’impresa si fonda sul principio mutualistico/solidaristico, in base al quale la cooperativa sociale, oltre a soddisfare l’interesse dei soci, risponde all’interesse generale della comunità5.

La normativa in esame fissa un limite, alle cooperative sociali, per essere definite operatori di agricoltura sociale: il loro fatturato deve derivare prevalentemente da attività agricole. Qualora, invece, esse non raggiungano tale risultato, ma le attività agricole superino la percentuale del 30% in relazione al volume d’affari complessivo, tali cooperative possono beneficiare delle agevolazioni concesse dalla legge, limitatamente alla percentuale del fatturato agricolo. La normativa, tuttavia, non esplicita le modalità per effettuale tale calcolo 6.

Una cooperativa sociale potrà, pertanto, essere considerata soggetto attivo dell’agricoltura sociale se :

  1. è essa stessa imprenditore agricolo di cui all’art. 2135 c.c.;
  2. ha un fatturato prevalentemente derivante dall’esercizio delle attività agricole, pur non essendo imprenditore agricolo ai sensi dell’art.2135 c.c.;
  3. limitatamente alla parte di fatturato derivante dall’attività agricola, questo sia superiore al 30% del fatturato complessivo.

E’, inoltre, stabilito (art. 2, co. V) che imprenditori agricoli e cooperative sociali possano svolgere le attività in esame in associazione con altri soggetti, quali, ad esempio, imprese sociali, associazioni di promozione sociale, nonché in collaborazione con i servizi socio-sanitari e con gli enti pubblici competenti per territorio. In ogni caso, tanto le imprese agricole che le cooperative devono orientare la propria attività verso l’utilità sociale” 7, ferme le loro competenze tecniche ed una crescente responsabilità verso l’ambiente e la società.

3. Le attività svolte

L’agricoltura sociale deve essere diretta a realizzare quattro specifici obiettivi:

  1. l’inserimento socio-lavorativo,in progetti di riabilitazione e sostegno sociale, di lavoratori con disabilità, svantaggiati

Per una piena comprensione del fenomeno dell’agricoltura sociale, va segnalato che la Legge n. 141/2015, al comma III dell’art. 2, specifica che le attività di cui ai punti 2) 3) e 4) costituiscono attività connesse ai sensi dell’art. 2135 c.c. In altre parole, l’esercizio di un’attività connessa “sociale”, non altera la natura imprenditoriale dell’iniziativa agricola. Se, però, l’offerta di lavoro a persone con varie patologie8, non comporta un qualche risultato economico apprezzabile all’esterno è escluso che il servizio di inclusione nell’azienda agricola di tali soggetti con disabilità o svantaggiati (punto 1) possa sostanziare un’“attività agricola principale” o “connessa”.

Si può, dunque, affermare che gli operatori di agricoltura sociale debbano essere principalmente imprenditori agricoli, e che l’attività “sociale” è secondaria e connessa soggettivamente e oggettivamente a quella principale agricola. In altri termini, si tratta di imprese rivolte al mercato, che, in via non prevalente, utilizzano le proprie strutture e risorse aziendali “anche” per realizzare finalità in senso lato sociali9.

L’obiettivo del Legislatore è, dunque, chiaro: coniugare attività produttive e sociali10, valorizzando, l’inclusione sociale in un’ottica non assistenziale, ma di impresa. La stessa tendenza si ritrova, peraltro, anche nella Riforma del Terzo settore11, che, intervenendo nuovamente sulla disciplina del settore no profit e dell’impresa sociale, ne ha ampliato i settori di intervento, introducendo proprio l’agricoltura sociale nell’elenco unico delle attività di interesse generale12.

4. Le modalità di iscrizione ai registri regionali

Alle Regioni spetta il compito di istituire registri13 (da aggiornare almeno con cadenza triennale), al fine di monitorare l’esercizio dei servizi e delle prestazioni offerte dagli operatori dell’agricoltura sociale.

A ottobre 2020 risultano iscritti 228 operatori, in aumento rispetto agli anni precedenti: +76% rispetto ai dati di settembre 2018 e + 23% rispetto al 2019. Quasi l’80% degli operatori iscritti è costituito da imprese agricole, mentre le cooperative sociali rappresentano il 14,5% del totale. Sono presenti poi associazioni, onlus, imprese sociali in alcune regioni, in attuazione delle proprie leggi regionali, non ancora perfettamente armonizzate con il dettato nazionale.

Nel regolamentare la disciplina dei registri regionali (denominati anche albi o elenchi)14, sono stati definiti, con diversi livelli di dettaglio, i requisiti di natura soggettiva e oggettiva, necessari per ottenere e mantenere l’iscrizione.

Con riguardo ai requisiti di natura soggettiva, nei documenti relativi al riconoscimento della qualifica di fattoria sociale, tra i soggetti che possono chiedere l’iscrizione al registro vengono indicati, anzitutto, gli imprenditori agricoli. Alcune Regioni (Friuli-Venezia Giulia) riconoscono tale qualifica anche alle fattorie didattiche che estendono i loro servizi alle fasce deboli di popolazione, oppure ad imprese agrituristiche iscritte nel relativo albo, qualora si tratti di fattorie sociali “erogative15 (Lombardia).

Alle imprese agricole spesso sono richiesti espressamente l’apertura del fascicolo aziendale sul Sistema Informativo Agricolo Nazionale (SIAN), l’iscrizione alla Camera di Commercio, nella Sezione speciale Imprese agricole e alla gestione previdenziale (Lombardia, Sardegna). In casi isolati, invece, l’esercizio delle attività agricole, indicato più volte come requisito specifico, viene legato a requisiti di carattere temporale (conduzione da almeno un biennio dell’impresa agricola regolarmente iscritta alla CCIAA) o all’adesione al metodo di produzione biologica o, infine, a regimi di qualità.

I requisiti di natura oggettiva sono relativi alla struttura aziendale (ad attività produttive o di natura amministrativa). In particolare, quasi tutte le Regioni prevedono che le strutture aziendali161 debbano essere conformi ai requisiti strutturali, igienico-sanitari, di sicurezza, ambientali e urbanistici previsti dalla legge e dai regolamenti edilizi comunali. È richiesta la piena disponibilità d’uso, in base ad un titolo legittimo di possesso o di detenzione delle strutture e delle aree da destinare allo svolgimento delle attività di agricoltura sociale; in caso di beni confiscati alle mafie, è richiesta, comunque, la disponibilità all’uso del bene.

La verifica del rapporto di connessione di cui all’art. 2135 c.c. avviene normalmente sulla base del confronto tra il fabbisogno di manodopera necessaria per lo svolgimento delle attività strettamente agricole e il fabbisogno di quella necessaria allo svolgimento delle attività sociali.

5. I requisiti minimi per le diverse attività contemplate per l’agricoltura sociale

Va per ultimo ricordato che, a distanza di oltre quattro anni dall’emanazione della Legge n. 141/2015, il D.M. 21 dicembre 2018, n. 12550 ha finalmente definito i requisiti minimi e le modalità di realizzazione delle attività di agricoltura socialev171.

In particolare, il testo ha risolto alcuni dubbi interpretativi, individuando i principi generali a cui far riferimento per l’erogazione delle prestazioni di agricoltura sociale.

Tra questi si annovera, anzitutto, il carattere di regolarità e continuità richiesto per lo svolgimento delle attività (art. 1, comma II), anche con riguardo a quelle aventi carattere stagionale. Si vogliono evitare iniziative episodiche di agricoltura sociale, salvaguardando, in tal modo, sia i destinatari delle attività che gli operatori, sui quali gravano oneri di natura organizzativa e investimenti in termini di risorse umane, economiche e strutturali.

Quanto alle attività connesse, previste alle lettere b), c) e d), il documento prevede che le prestazioni sociali siano svolte prevalentemente presso l’azienda, potendo essere praticate anche all’esterno, purché entro determinati limiti. Vi è, inoltre, la possibilità per l’imprenditore di avvalersi di specifiche figure professionali aventi i requisiti previsti dalle normative di settore18.

Il D.M. specifica, inoltre, il numero minimo di soggetti che le aziende possono includere in azienda: un’unità lavorativa per le imprese che impiegano fino a quindici addetti; almeno due unità lavorative per quelle con un numero di addetti da sedici a venti unità e per le aziende con un numero di lavoratori oltre le venti unità, il numero dei soggetti svantaggiati deve essere almeno il 10% del totale degli addetti.

Per quanto riguarda le prestazioni e i servizi che affiancano le terapie, siano esse mediche che psicologiche e riabilitative, esse debbono essere realizzate prevalentemente presso l’azienda agricola, quando ciò agevola la conoscenza di flora, fauna, del territorio e della tradizione dei luoghi (art. 4). Di nuovo la norma prevede il rispetto dei piani sanitari regionali e nazionali, oltre che il coinvolgimento di personale specializzato.

Quanto alle attività relative all’educazione ambientale e alimentare, esse hanno come utenti i bambini in età prescolare e persone in difficoltà sociale, fisica e psichica. Possono collaborare le scuole di ogni ordine e grado. Rientrano, infine, tra le attività di agricoltura sociale anche gli «orti sociali» in aziende agricole o su altri terreni di proprietà privata, pubblica o collettiva, qualora collegati a servizi svolti da operatori riconosciuti nell’abito dell’agricoltura sociale.


Il testo del saggio è pubblicato sulla rivista Consulenza Agricola, 11/2021, pagine 7-12.

Autore: Francesco Tedioli

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