Onere della prova nell’azione di riscatto agrario
Secondo la Suprema corte, (sentenza 1 marzo 2020, n. 7023), l’onere di dimostrare – in tema di prelazione agraria- che sul fondo oggetto di riscatto non sussiste la condizione impeditiva dello stabile insediamento di un coltivatore diretto grava sul retraente, senza che possa trovare applicazione il principio di vicinanza della prova. Tale istituto, di elaborazione giurisprudenziale, non è, infatti, invocabile quando le circostanze da provare rientrino nella piena conoscibilità ed accessibilità di entrambe le parti. Così avviene nella situazione presa in esame, ovvero relativamente alla contiguità dei fondi e all’attività lavorativa, svolta sul terreno confinante, da parte di chi esercita il retratto.
IL CASO
Il caso in commento riguarda l’esercizio del diritto di riscatto di un fondo rustico, da parte del proprietario confinante. Poiché la sentenza di primo grado e quella d’appello accoglievano la domanda del coltivatore diretto riscattante, gli acquirenti ricorrevano in cassazione sulla scorta di svariati motivi. Solo il primo sarà oggetto d’esame, perché rilevante ai fini processuali.
In particolare, il motivo riguarda la violazione o falsa applicazione – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – degli art. 8 e 31, L. 26 maggio 1965, n. 590 e dell’art. 7, L. 14 agosto 1971, n. 817, in relazione all’art. 2697 c.c. Disputandosi, nella specie, intorno a quale, delle parti, dovesse sopportare l’onere della prova in punto di esistenza o meno, sul fondo oggetto di riscatto, dell’insediamento di un coltivatore diretto da oltre un biennio, la sentenza d’appello aveva addossato agli acquirenti l’onere di dimostrare la loro precedente detenzione del fondo, in forza di un contratto d’affitto, quando invece, ad avviso del ricorrente, l’insussistenza dell’insediamento sul fondo di un coltivatore diretto, costituirebbe una condizione dell’azione di riscatto, che avrebbe dovuto essere dimostrata da chi agiva in giudizio.
SOLUZIONE
La Corte accogliendo il suesposto motivo, cassa con rinvio la sentenza impugnata, ribadendo che, in tema di prelazione agraria, grava sul retraente l’onere di dimostrare che sul fondo oggetto di riscatto non sussiste la condizione impeditiva dello stabile insediamento di un coltivatore diretto.
Non può, invece, trovare applicazione il principio di vicinanza della prova, perché, nel caso di specie, le circostanze oggetto di dimostrazione sono perfettamente conoscibili ed accessibili da entrambe le parti: la contiguità dei fondi e l’attività lavorativa, svolta sul terreno confinante, sono ben noti anche a chi esercita il riscatto.
LA PRELAZIONE AGRARIA
Tra le due ipotesi di riscatto previste dalla normativa speciale agraria, quella in commento, riguarda la prelazione del coltivatore del fondo confinante, ai sensi dell’art. 7 L. 14 agosto 1971, n. 817. Secondo tale norma il coltivatore diretto, proprietario dei terreni attigui ai fondi offerti in vendita, ha il diritto di prelazione nell’acquisto, purché sul fondo alienato non siano insediati (mezzadri, coloni), affittuari, (compartecipanti ad enfiteuti) coltivatori diretti.
I fatti costitutivi del diritto di (prelazione e di) riscatto del fondo rustico sono, invece, regolati dall’art. 8, L. n. 590 del 1965. La predetta disposizione individua, le condizioni per l’accoglimento della domanda, dividendole tra positive (la coltivazione del fondo da almeno due anni, il rapporto tra la capacità lavorativa della famiglia coltivatrice ed i terreni già in proprietà e quelli oggetto di riscatto) e negative (la mancata vendita, nel biennio precedente, di altri fondi rustici da parte dell’avente diritto alla prelazione). Il proprietario confinante, è gravato dall’ulteriore condizione negativa dell’assenza, sul fondo oggetto di ritratto, di insediamenti qualificati (ex art. 7, L. n. 817 del 1971). L’accoglimento della sua domanda è, pertanto, condizionato dalla deduzione e dalla prova di tutte queste condizioni dell’azione (o fatti costitutivi del diritto).
Quanto alla contiguità dei fondi, va detto che il requisito, nella più recente giurisprudenza, viene inteso in senso materiale e, quindi, non sussiste in caso di strada vicinale, collocata all’interno del fondo oggetto di riscatto, al confine con la proprietà del riscattante, se destinata al transito da parte della collettività degli utenti e, quindi, sottratta a qualsivoglia utilizzazione da parte dei proprietari per finalità agricole1. Al contrario, la contiguità ricorre se i due fondi sono separati da un canale di scolo delle acque, quando in mancanza di prova contraria si presuma la comunanza dello stesso ai sensi dell’art. 897 c.c.2.
Passando alla qualifica di coltivatore diretto, ciò che rileva è l’effettivo svolgimento abituale dell’attività agricola con lavoro prevalentemente proprio e della propria famiglia. Non è, viceversa, sufficiente la mera iscrizione del retraente in elenchi, albi o certificazioni amministrative3. Va aggiunto che la suddetta qualità va intesa in senso restrittivo, propriamente funzionale alla coltivazione della terra e, perciò, non sussiste in capo a chi si dedica esclusivamente, ovvero in forma assolutamente prevalente, al governo ed all’allevamento del bestiame4.
Nel caso di specie, giova precisare che gli acquirenti, se il fondo fosse stato alienato a terzi, probabilmente avrebbero potuto fruire del diritto di prelazione, ex art. 8, L. 26 maggio 1965, n. 590, in quanto affittuari del fondo5.
La ratio della prelazione si diversifica nei due casi previsti dalla legge: nel caso di esercizio da parte del conduttore è finalizzata ad agevolare la coincidenza della titolarità dell’impresa agraria e della proprietà del fondo nella persona del coltivatore diretto, nonché un conseguente più intenso interesse del coltivatore alla produzione agricola e allo sviluppo dell’azienda. Al contrario, se esercitata dal confinante, essa trova la propria giustificazione nell’esigenza di «accorpamento fondiario e di espansione delle aziende agrarie affinchè possano raggiungere livelli di maggior produttività e dinamismo»6.
Va, infine ricordato che, prima di alienare il fondo, il proprietario deve notificare il preliminare di compravendita agli aventi diritto, ovvero indicare i dati essenziali del contratto come il nome dell’acquirente, il prezzo di vendita e gli altri patti negoziali, con l’invito ad esercitare il diritto di prelazione entro il termine di 30 giorni. La denutiatio deve rivestire la forma scritta ad substatiam. Qualora il proprietario non provveda alla notificazione o il prezzo indicato sia superiore a quello risultante dal successivo contratto di compravendita, l’avente titolo può, entro un anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dall’acquirente e da ogni successivo avente causa. Nel caso contenzioso, l’acquisto è sottoposto alla condizione sospensiva del versamento del prezzo entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza che riconosce il diritto.
QUESTIONI
La necessità di un rigoroso accertamento della sussistenza o meno di uno «stabile insediamento», rappresenta il principale ostacolo al diritto di prelazione in capo al confinante. La pronuncia in esame chiarisce su quale delle parti gravi l’onere di prova, precisando che, anche se si tratta di una circostanza negativa, è in capo all’attore prelazionante7.
Il principio di diritto non è giustificato, però, come ci si sarebbe aspettati, dal richiamo alla disciplina della prova con riferimento alle condizioni dell’azione. I requisiti di cui all’art. 8 della l. n. 590 del 1965 costituiscono, infatti, condizioni dell’azione e devono essere accertati dal giudice d’ufficio8 e la mancanza anche di uno solo di essi determina il rigetto della domanda stessa (Cass. 28 luglio 2011, n. 16546). La corte, invece, più semplicemente nega l’applicazione del principio di vicinanza della prova. Questo principio, di elaborazione giurisprudenziale, ricorre nell’ipotesi in cui una delle parti si trovi in condizioni di inferiorità e di limitato accesso alla fonte di prova, che, invece, è nella disponibilità diretta dell’altra ed ha lo scopo di riequilibrare, sul piano istruttorio, le due posizioni9.
Quando, invece, come nel caso di specie, le circostanze oggetto di prova sono pacificamente note alle parti in causa, l’attore non può ricorrere a tale agevolazione. Infatti, il retraente può, senza particolari difficoltà, dimostrare sia i propri requisiti soggettivi ed oggettivi, che l’inesistenza di uno stabile rapporto di coltivazione sul fondo confinante. In altre parole, non può ignorare se il fondo confinante è coltivato, da chi, da quanto tempo, ed in forza di quale rapporto giuridico sottostante.
Il testo integrale della nota è pubblicato su Euroconference LEGAL, 16 marzo 2021.
Autore: Francesco Tedioli
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