Il 17 ottobre 2022 è stato pubblicato in G.U. (n. 243 – suppl. ord. n. 38/L) il D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, di attuazione della legge delega di riforma del processo civile del 26 novembre 2021 n. 206. L’obiettivo principale della “riforma Cartabia” è semplificare e accelerare i procedimenti giudiziari in Italia, eliminando strumenti processuali che non hanno raggiunto tale proposito, nel pieno rispetto degli impegni assunti in sede europea per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Una delle più importanti novità della riforma riguarda l’appello: ampiamente modificato, a cominciare dalla sua stessa “struttura”, è ora imperniato sulla reintrodotta figura del giudice istruttore, il quale gode di ampi poteri di direzione del procedimento. È stato, inoltre, eliminato il filtro previsto dall’art. 348 bis c.p.c. e stabilito che l’impugnazione priva di una ragionevole probabilità di essere accolta deve essere dichiarata manifestamente infondata, con sentenza succintamente motivata anche mediante rinvio a precedenti conformi, pronunciata a seguito di trattazione orale.
- 1. Termine breve per l’impugnazione
- 2. Impugnazioni incidentali tardive
- 3. Forma dell’atto di appello
- 4. Appello incidentale
- 5. Modalità di costituzione del convenuto
- 6. Improcedibilità
- 7. Inammissibilità e manifesta infondatezza
- 8. Il “ritorno” del giudice istruttore nei giudizi di gravame davanti alla corte di appello
- 9. Trattazione
- 10. Decisione in forma scritta
- 11. Decisione “accelerata”, a seguito di discussione orale
- 12. Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata
- 13. Rimessione al primo giudice
- 14. Ammissione ed assunzione delle prove
- 15. La riforma dell’appello nel “rito del lavoro”
- 16. Entrata in vigore della riforma
1. Termine breve per l’impugnazione
La recente ed ampia riforma del processo civile attuata dal D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, ha riguardato anche il giudizio di appello, introducendo novità talvolta assai significative.
Segnatamente, il giudizio di gravame è stato interessato dalla novella, sia per effetto della modifica di norme che il codice di rito dedica alle impugnazioni in generale sia con la riscrittura o l’abrogazione di disposizioni contenute nel capo che racchiude la specifica disciplina dell’appello.
Al primo gruppo di queste novità appartiene,dunque, quella relativa alla decorrenza del termine per impugnare1.
In particolare, il riformulato art. 326 c.p.c. stabilisce che il termine c.d. “breve” per l’impugnazione, di cui al precedente art. 325 (che nel caso dell’appello è di 30 giorni) decorra per entrambe le parti (il notificante e il destinatario dell’atto) dal momento in cui il procedimento di notificazione si perfeziona per il destinatario2. Ciò comporta, quindi, che qualora sia utilizzata la posta elettronica certificata o servizio elettronico di recapito qualificato3, tale termine decorrerà dal momento in cui è generata la ricevuta di avvenuta consegna o, se creata dopo le ore 21, dalle successive ore 7 del mattino4.
Con questa modifica, il legislatore ha recepito il consolidato indirizzo della Cassazione, che esclude il principio di scissione soggettiva e fa decorrere il termine, anche per il notificante, dal perfezionamento del procedimento notificatorio nei confronti del destinatario5.
2. Impugnazioni incidentali tardive
La riforma novella anche il secondo comma dell’art. 334 c.p.c., chiarendo che l’impugnazione incidentale tardiva6 diviene inefficace, non solo quando l’impugnazione principale sia dichiarata inammissibile, ma anche ove essa sia dichiarata improcedibile7.
In proposito, viene da osservare come si sia persa l’occasione di meglio precisare quali siano le condizioni di ammissibilità ed i limiti dell’impugnazione incidentale, perché essi appaiono, tuttora, incerti, anche per la giurisprudenza di legittimità8.
3. Forma dell’atto di appello
L’appello si propone con atto di citazione (anche avverso la sentenza pronunciata col rito semplificato di cognizione), che deve rivestire gli elementi di forma/contenuto specificati nell’art. 163 c.p.c.
Il nuovo testo dell’art. 342, comma 2, c.p.c. prevede la specifica indicazione del termine a comparire e non più il richiamo all’articolo 163 bis c.p.c. Infatti, nell’ambito del giudizio di primo grado tale termine è stato accresciuto a “non meno di 120 giorni”, per consentire alle parti la redazione delle memorie integrative da depositare anteriormente alla prima udienza, mentre in appello, non esistendo un’analoga possibilità, lo spatium deliberandi è rimasto quello attuale, ossia “non meno di 90 giorni”.

Sono stati, inoltre, integralmente riformulati i requisiti previsti “per ciascuno dei motivi” di appello che devono indicare, a pena di inammissibilità9, in modo chiaro10, sintetico11 e specifico:
- il capo della decisione che viene impugnato;
- le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado;
- le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata.
Il principio di chiarezza e sinteticità degli atti – già formulato dalla riforma in via generale nel nuovo testo dell’art. 121 c.p.c. – è ribadito, dunque, anche con riferimento al giudizio di gravame; tuttavia, pare assai dubbia la concreta efficacia di tale enunciazione, vuoi perché non esiste alcuna sanzione nel caso in cui le parti non rispettino tale precetto, vuoi perché il giudice sembra sfornito di uno specifico strumento da utilizzare qualora vengano redatti atti non chiari o non sintetici.
Ogni censura deve colpire un determinato capo della decisione impugnata, con la conseguenza che non pare più necessario, come avveniva nella prassi antecedente alla riforma, che l’appellante debba ri-trascrivere integralmente “le parti del provvedimento” censurate, specificando anche le modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado. Si superano, così, quelle interpretazioni eccessivamente formalistiche della norma, che portavano a redigere veri e propri “progetti alternativi” di sentenza e si evita di appesantire l’atto, in omaggio al principio di sinteticità sopra enunciato.
Per concludere sul punto, direi che se l’intento del legislatore era quello rendere il contenuto dell’atto di appello meno “ingombrante”, la riforma non apporta modifiche di rilievo per velocizzare il giudizio.
4. Appello incidentale
Il legislatore della riforma non si è limitato a intervenire sulle impugnazioni incidentali in generale (novellando l’art. 334 c.p.c.: vedi supra sub par. 2), ma è intervenuto anche sulla specifica disciplina dell’appello incidentale, il quale, ai sensi del novellato art. 343, comma 1, c.p.c., va formulato in comparsa di risposta almeno 20 giorni prima dell’udienza di trattazione (quella indicata nella citazione introduttiva o a quella differita dal presidente o dall’istruttore ai sensi dell’art. 349 bis c.p.c.)12. In realtà, nulla cambia rispetto al passato, quando il termine era il medesimo, ma la modifica si è resa necessaria perché l’eventuale conservazione del vecchio riferimento all’art. 166 c.p.c., avrebbe comportato l’applicazione in fase di gravame dei più ampi termini previsti oggi per la costituzione del convenuto nel giudizio di primo grado, la cui fase introduttiva conosce, dopo la riforma, scansioni e adempimenti diversi da quella del processo di appello (ma sul punto e sulle incongruenze in cui è incorso il legislatore vedi infra nel prossimo paragrafo).
5. Modalità di costituzione del convenuto
L’art. 347 c.p.c. è rimasto immutato, così che nel giudizio di appello la costituzione delle parti deva avvenire, osservandosi le forme ed i termini previsti per i procedimenti innanzi al Tribunale (artt. 165, 166 e 167 c.p.c.): in particolare, va ricordato che, per quanto riguarda il convenuto, la seconda delle norme ricordate prevede che la comparsa di costituzione e risposta andrebbe depositata (per essere tempestiva) almeno settanta giorni prima dell’udienza di comparizione fissata nell’atto di citazione.
Ebbene, ragioni di buon senso, suggeriscono che il richiamo operato dall’art. 347 c.p.c. alle «forme ed ai termini per i procedimenti davanti al tribunale» debba essere limitato alle sole «forme», mentre, per quanto riguarda i «termini», ci si dovrebbe riferire al vecchio disposto dell’art. 166 c.p.c. (che prevedeva, per la costituzione tempestiva del convenuto il termine a ritroso di venti giorni prima dell’udienza di comparizione)13. Infatti il “nuovo” termine di costituzione in primo grado per il convenuto risponde esclusivamente alla necessità di rispettare il disposto degli artt. 171-bis (incombenze – verifiche preliminari – attribuite al giudice istruttore) e 171-ter (esercizio di facoltà – memorie integrative – delle parti), adempimenti che non operano in sede di gravame.
Diversamente ragionando, si verificherebbe questa “assurda incongruenza”: se la memoria di costituzione in appello contiene unicamente difese ed eccezioni, andrebbe depositata (ai fini della tempestività) almeno settanta giorni prima dell’udienza di comparizione, mentre se contiene anche l’appello incidentale, può essere depositata almeno venti giorni prima della suddetta udienza.
6. Improcedibilità
Rimangono invariate le ipotesi tipiche di improcedibilità del gravame previste all’art. 348 c.p.c. (per mancata tempestiva costituzione in giudizio o mancata comparizione dell’appellante nelle “due” successive prime udienze di trattazione).
La stessa norma, peraltro, è stata accresciuta dalla novella di un nuovo terzo e ultimo comma, che individua la forma dell’atto con cui il giudice dichiara improcedibile l’appello e ne delinea il relativo regime di controllo.
In particolare, quando l’udienza è fissata davanti all’istruttore, l’improcedibilità è dichiarata con ordinanza, reclamabile al collegio. Ove questo provvedimento sia stato reclamato, il collegio decide con sentenza, se lo respinge, oppure con ordinanza non impugnabile in caso di accoglimento. In questa seconda ipotesi, il giudizio procede in grado d’appello. La norma sembra, in qualche modo, riecheggiare il disposto delle impugnazioni avverso l’ordinanza di estinzione del giudice istruttore di cui all’art. 178, commi 3,4,5, c.p.c.
Nel caso in cui, invece, non sia stato nominato il consigliere istruttore, il tribunale (in secondo grado) e la Corte di appello, dichiarano l’improcedibilità con sentenza.
7. Inammissibilità e manifesta infondatezza
La disciplina dei filtri nelle impugnazioni è stata riscritta, riformando l’art. 348 bis c.p.c. e abrogando, con le precisazioni che si diranno, l’art. 348 ter c.p.c.14.
Le innovazioni non hanno eliminato il meccanismo di selezione degli appelli meritevoli di un “approfondimento pieno”, ma lo hanno ridisegnato.
Mentre il testo ante riforma prevedeva un’ipotesi di inammissibilità, che poteva essere dichiarata direttamente con ordinanza e che era giustificata da una prognosi di infondatezza dell’impugnazione (“non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”)15, la novella affianca a tale ipotesi quella di manifesta infondatezza16. Trattandosi di una decisione nel merito, il legislatore muta la forma del provvedimento: non più l’ordinanza, ma una sentenza, seppur succintamente motivata, che può anche rinviare a precedenti conformi. Essa va adottata a seguito di discussione orale, come previsto dall’art. 350 bis c.p.c., articolo quest’ultimo già introdotto dal Dlgs. 10.10.2022, n. 14917. Si mantiene, quindi, il “filtro” che già in passato operava, ma lo si trasla nel modello accelerato di trattazione degli appelli. In altre parole, la novità sta nel fatto che, invece di adottare una dichiarazione di inammissibilità, si è preferito rendere, relativamente all’appello manifestamente infondato, una pronuncia nel merito, nelle forme semplificate previste dall’art. 281-sexies.
In caso di impugnazione, il ricorso (in Cassazione) sarà avverso questa sentenza e, non come in passato, contro la sentenza di primo grado.
Come accennato in apertura di paragrafo, la novella ha, quindi, abrogato, perché ormai inutile, l’articolo 348 ter c.p.c.18, i cui ultimi due commi, tuttavia, non sono stati cancellati dal nostro sistema processuale, bensì “trasferiti” nell’art. 360 c.p.c. Essi mantengono la loro funzione di escludere, nei casi di c.d. “doppia conforme”, il ricorso in cassazione per omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.
8. Il “ritorno” del giudice istruttore nei giudizi di gravame davanti alla corte di appello
Per effetto della riforma attuata dal d.lgs. n. 149/2022, la trattazione avanti la corte di appello cessa di essere necessariamente collegiale, poiché è stata reintrodotta la figura del giudice istruttore, che espleterà tutti gli incombenti antecedenti la fase decisoria19. Una soluzione, questa, già prevista dall’art. 350 c.p.c. nel codice del 1940, ma poi abolita, in favore della trattazione collegiale, con la legge del 26 novembre 1990, n. 35320.
Per consentire la (re)introduzione di questa figura è stato aggiunto un nuovo art. 349 bis (rubricato “Nomina dell’istruttore”21), secondo il quale, quando l’appello è proposto davanti alla corte d’appello, il Presidente, il quale potrà procedere alternativamente in due modi:
- fissare direttamente l’udienza di comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale della causa, nominando il consigliere relatore (la formula tradizionale di trattazione);
- designare uno dei componenti del collegio per la trattazione e l’istruzione della causa (componente del collegio che assumerà, appunto, la qualità di “giudice istruttore”).
La scelta tra i due “riti” dipenderà dalla sua valutazione circa la sussistenza o meno dei presupposti per la discussione orale ex art. 350 bis c.p.c., soluzione quest’ultima disposta quando è possibile l’immediata definizione del giudizio senza necessità di trattazione.
Sempre ai sensi del nuovo art. 349 bis c.p.c., l’udienza indicata nella citazione può essere differita, con decreto, dal presidente o dall’istruttore, seguendo le stesse modalità e limiti (non oltre quarantacinque giorni) già previsti per il primo grado nella disciplina ante riforma dall’art. 168 bis, comma 5, c.p.c. La nuova udienza è, quindi, comunicata, dalla cancelleria, alle parti costituite e comporterà il differimento del termine – di 20 giorni – per la proposizione dell’appello incidentale (in tal senso, espressamente, il nuovo art. 343 c.p.c.).
9. Trattazione
In forza di quanto disposto dal nuovo art. 349 bis c.p.c., nei giudizi di gravame davanti alla corte d’appello si possono delineare, due moduli processuali: uno ordinario, con nomina dell’istruttore, e uno semplificato, con nomina del relatore per la discussione22.
Nel primo, l’istruttore, ex art. 350 c.p.c., verifica la validità della costituzione delle parti, la compiuta instaurazione del contraddittorio, dichiara eventualmente la contumacia dell’appellato, dispone la riunione – necessaria ex art. 335 c.p.c. o discrezionale – dei giudizi, rileva eventuali vizi, assegnando termini perentori per la loro sanatoria (ad es., per la costituzione della persona cui spetta la rappresentanza o l’assistenza, per il rilascio delle necessarie autorizzazioni, ovvero per il rilascio o la rinnovazione della procura alle liti, per l’integrazione necessaria del contraddittorio nelle cause inscindibili ex art. 331 c.p.c. o la rinnovazione della invalida notificazione dell’atto di appello ai sensi dell’art. 291 c.p.c. oppure per la notificazione dell’appello nelle cause scindibili ex art. 332 c.p.c.).
L’istruttore può, inoltre, esperire il tentativo di conciliazione avanti a sé disponendo, se ritenuto opportuno, la comparizione delle parti23.
Anche in appello, è possibile la “mediazione demandata” dal giudice, disciplinata dall’art. 5 quater, d.lgs. n. 28/2010.
La principale funzione dell’istruttore è, senz’altro, quella di decidere l‘ammissione delle prove – entro i limitati margini di ammissibilità dell’art. 345, comma 3, c.p.c. – e procedere alla relativa assunzione. Entrambe le incombenze possono essere “superate”, qualora l’istruttore valuti la sussistenza dei presupposti per la discussione orale.
Nel secondo modulo, invece, quello con nomina del relatore non si avrà trattazione della causa, perché questa passerà direttamente alla fase di decisione necessariamente nelle forme di cui all’art. 350 bis c.p.c. (vedi infra sub par. 11).
Infine se il giudizio di gravame si svolge davanti al tribunale (in caso di impugnazione delle sentenze del giudice di pace), l’appello è trattato e deciso dal giudice monocratico.
10. Decisione in forma scritta
Le modifiche relative al giudizio di appello interessano anche la fase decisoria. Quanto al modulo ordinario, l’art. 352 c.p.c. stabilisce che, se la causa è matura per la decisione e non sussistono i presupposti per disporre la discussione orale e la decisione in forma semplificata, l’istruttore debba fissare altra udienza davanti a sé per la rimessione della causa in decisione, assegnando alle parti un triplice termine perentorio calcolato a ritroso rispetto alla data dell’udienza.
Nei tre termini, le parti potranno depositare
- una nota di precisazione delle conclusioni,
- la comparsa conclusionale e
- le note di replica24.
All’udienza, l’istruttore rimetterà la causa al collegio per la decisione (ovvero, negli appelli davanti al tribunale, che decide in composizione monocratica, tratterrà la causa in decisione), fermo restando il termine di 60 giorni per il deposito della sentenza.
Sono stati, quindi, soppressi i previgenti commi dell’art. 352 c.p.c., nonché il riferimento alla decisione ex art. 281 sexies c.p.c., che è stato inserito nella disciplina relativa all’udienza di trattazione all’art. 350 bis c.p.c., richiamato nel primo periodo del primo comma.
11. Decisione “accelerata”, a seguito di discussione orale
Alternativamente al modulo decisorio descritto nel paragrafo precedente, l’istruttore può disporre la discussione orale della causa davanti al collegio per la decisione in forma semplificata, non solo nei casi di cui all’articolo 348 bis c.p.c. (inammissibilità, manifesta infondatezza dell’appello), ma anche quando l’appello appaia manifestamente fondato o quando è opportuno, in ragione della ridotta complessità della causa o dell’urgenza della sua definizione25. Le parti preciseranno le conclusioni avanti a tale consigliere, il quale fisserà l’udienza di discussione avanti al collegio ed assegnerà anche un termine, anteriore all’udienza, per lo scambio di note conclusionali. La relazione della causa viene affidata all’istruttore26.
All’esito della discussione il giudice, previa deliberazione in camera di consiglio, pronuncia la sentenza, dando lettura del dispositivo e della motivazione “sintetica” e, apponendo la sottoscrizione unitamente al verbale dell’udienza.
In alternativa, il giudice può riservare il deposito della sentenza – non, quindi, della sola motivazione – entro i successivi 30 giorni, nell’eventualità che la causa presenti, all’esito della discussione, una complessità maggiore o, comunque, imprevista.
La modalità “sintetica” della motivazione può, infine, espressamente consistere anche nell’“esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi” (art. 350 bis, comma 3, c.p.c.).
Lo stesso modulo decisorio si applicherà anche quando il presidente, nelle cause davanti alla corte d’appello non ritenga di dovere designare il giudice istruttore, ma “nomini” direttamente il “relatore”, disponendo la comparizione delle parti davanti al collegio per la discussione orale.
12. Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata
La novella ha modificato anche il primo comma dell’art. 351 c.p.c. per adeguarlo alla nuova possibilità (effetto sempre della stessa riforma del 2022) di proporre l’istanza di sospensione della provvisoria esecuzione nel corso del giudizio di appello. Quest’ultima novità è stata introdotta, modificando l’art. 283 c.p.c., il quale prevede ora che l’inibitoria possa essere richiesta non solo (come in passato) con l’impugnazione principale o incidentale, ma anche – seppure condizionatamente al verificarsi di “mutamenti nelle circostanze” – nel corso del giudizio di gravame.
Il giudice di appello, se monocratico, provvede in prima udienza, con ordinanza non impugnabile. Se, invece, il giudizio pende innanzi alla corte di appello, la decisione sull’istanza deve essere presa dal collegio. Il giudice istruttore, se nominato, in prima udienza, sentite le parti, si limiterà a “riferire al collegio”.
La parte interessata può anche chiedere che l’istanza sia decisa prima dell’udienza di trattazione. In tal caso, quando il giudizio pende davanti alla corte di appello, il ricorso deve essere presentato al presidente del collegio.
Si aprono due possibili scenari. Ove non ricorrano motivi di estrema urgenza, il presidente del collegio o il tribunale in composizione monocratica ordinano la comparizione delle parti in camera di consiglio. Davanti alla corte d’appello, il giudice istruttore la istruisce per rimetterne la decisione al collegio; nel caso, invece, di gravame innanzi al tribunale in composizione monocratica, il giudice pronuncia sull’istanza (sempre con ordinanza non impugnabile). Quando il giudice (monocratico o collegiale) riconosce l’urgenza, provvede immediatamente con decreto, che può, successivamente, confermare, modificare o revocare all’esito dell’udienza fissata. In questa sede deciderà in camera di consiglio, con ordinanza non impugnabile.
Sempre in funzione acceleratoria, la novella (art. 351, ult. comma, c.p.c.) prevede anche che, in prima udienza, se il giudice d’appello (nel caso si tratta del tribunale in composizione monocratica) ritiene la causa matura per la decisione, può disporre la decisione a seguito di trattazione orale ai sensi dell’articolo 281 sexies c.p.c.27. Ugualmente, sempre ai sensi dello stesso art. 351, ult. comma, c.p.c.), davanti alla corte di appello, se l’udienza è stata tenuta dall’istruttore, il collegio, con l’ordinanza con cui adotta i provvedimenti sull’esecuzione provvisoria, fissa l’udienza davanti a sé per la precisazione delle conclusioni e la discussione orale e assegna alle parti un termine per note conclusionali. Se per la decisione sulla sospensione è stata fissata l’udienza di cui al terzo comma, il giudice fissa apposita udienza per la decisione della causa nel rispetto dei termini a comparire.
Il già ricordato art. 283 c.p.c. non è stato solo modificato prevedendo l’inedita possibilità di chiedere l’inibitoria nel corso del giudizio di appello (come detto, condizionatamente a mutamenti nelle circostanze che devono essere specificamente indicati nel ricorso, a pena di inammissibilità), ma anche nella parte relativa ai presupposti necessari affinché sia concessa la sospensione dell’efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza impugnata la quale può essere disposta sulla base di un giudizio prognostico di manifesta fondatezza dell’impugnazione o, alternativamente, sulla base di un grave e irreparabile pregiudizio derivante dall’esecuzione della sentenza anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti quando la sentenza contiene la condanna al pagamento di una somma di denaro.
Con la riforma, dunque, la sospensione ex art. 283 c.p.c. perde il carattere spiccatamente cautelare del regime precedente, nel quale il presupposto della sospensione era costituito dalla sussistenza di “gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti”, e, quindi, sia del periculum in mora, che del fumus boni iuris. Con la novella è consentita la sospensione anche se sussiste un solo presupposto.
Si è, inoltre, precisato che il pregiudizio grave e irreparabile, in relazione alla possibilità di insolvenza può derivare “anche” dall’esecuzione di pronunce di condanna ad un facere o a un pati 28, così prevenendo possibili interpretazioni restrittive.
Avverso il provvedimento di inibitoria, evidentemente destinato a essere assorbito dalla pronuncia definitiva, non è previsto il reclamo, né alcuna forma di impugnazione.
13. Rimessione al primo giudice
Il legislatore del 2022 ha abrogato altresì l’art. 353 c.p.c. e, con esso, l’ipotesi di rimessione al primo giudice per motivi di giurisdizione.
Considerati i ritardi nella decisione che la rimessione della causa dal giudice di appello a quello di primo grado comporta, si è scelto di limitarla alle ipotesi più gravi di violazione del contraddittorio, confermando quelle oggi previste dal primo comma dell’art. 354 c.p.c. (nullità della notificazione della citazione introduttiva, mancata integrazione del contraddittorio, erronea estromissione di una parte, nullità della sentenza di primo grado per mancanza della sottoscrizione del giudice) e sopprimendo il secondo comma della stessa norma per l’ipotesi di riforma della sentenza di primo grado che ha dichiarato l’estinzione del processo29.
Nel caso in cui il giudice abbia disposto la rimessione al primo giudice, le parti devono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza (art. 354, comma 2, c.p.c.).
La legge non chiarisce cosa succeda se la sentenza non viene notificata, o meglio da quando, in questa ipotesi, decorra il termine per riassumere: una possibile soluzione sarebbe quella di applicare per analogia (o estensivamente) il c.d. termine lungo ex art. 327 c.p.c., ossia decorsi sei mesi pubblicazione della decisione di appello.
Se contro la sentenza pronunciata nel giudizio di gravame è proposto ricorso per cassazione, il termine è interrotto.
A seguito della soppressione dell’art. 353 c.p.c., il giudice di appello che riconosca la giurisdizione negata dal primo giudice non potrà più rimettere a questo gli atti, ma dovrà decidere la causa nel merito30, procedendo anche alle attività che non si siano svolte in primo grado.
È stato anche modificato l’ultimo periodo dell’art. 354 c.p.c., con la previsione che, tanto nel caso descritto nel paragrafo precedente, quanto nell’ipotesi in cui si dichiari la nullità di altri atti compiuti in primo grado31, il giudice di appello ammette le parti al compimento di attività che sarebbero precluse, quando questa esigenza discende dalla necessità di ripristinare il contraddittorio (ad esempio, a seguito della mancata concessione di termini nel giudizio di primo grado). Il giudice, infine, ordina, quando possibile, la rinnovazione degli atti a norma dell’art 356.
Va ribadito, quindi, che fuori dalle ipotesi previste di rimessione della causa al primo giudice di cui al primo comma32, il processo prosegue innanzi alla corte, con rimessione in termini delle parti.
Le disposizioni un tempo contenute negli ultimi due commi dell’art. 353 (termine perentorio per riassumere il processo in primo grado e relativa interruzione) vengono ora trasferite nel secondo comma dell’art. 354.
14. Ammissione ed assunzione delle prove
Anche l’art. 356 c.p.c. è stato in parte novellato per coordinarlo alle altre modifiche introdotte con la riforma. Così, nelle cause di gravame che si svolgono davanti alla corte d’appello, il collegio dispone l’assunzione o la rinnovazione di una prova, delegando l’incombente all’istruttore o al relatore. Sempre nei giudizi di impugnazione innanzi alla corte d’appello – in armonia con la disciplina di cui all’art. 281 c.p.c. per le cause nelle quali il tribunale giudica in composizione collegiale – il collegio, quando ne ravvisa la necessità, può, anche d’ufficio, disporre la rinnovazione davanti a sé di uno o più mezzi di prova assunti dall’istruttore.
15. La riforma dell’appello nel “rito del lavoro”
Per quanto riguarda la disciplina dell’appello nelle cause soggette al rito speciale del lavoro, la riforma ha modificato l’art. 434 c.p.c. il quale, pur continuando a fare rinvio all’art. 414 c.p.c. per la struttura dell’atto introduttivo, adesso stabilisce che, per ciascun motivo, debba essere indicato, a pena d’inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico33:
- il capo della decisione di primo grado che viene impugnato;
- le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado;
- le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza al fine della decisione impugnata.
Si tratta di una disposizione analoga a quella prevista per il giudizio d’appello dall’art. 342 c.p.c.
La trattazione è rimasta collegiale. Come per l’appello nel rito ordinario (artt. 350 bis e 352 c.p.c.), anche in quello speciale del lavoro sono previsti due moduli di definizione. Il primo – semplificato (art. 436 bis c.p.c.) – nelle ipotesi in cui l’appello sia inammissibile, improcedibile, manifestamente fondato o infondato oppure di ridotta complessità o, comunque, ne sia urgente la definizione. In questi casi il collegio, all’udienza di discussione, sentiti i difensori delle parti34, pronuncia sentenza, dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in “forma sintetica”35, anche mediate esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi.
Il secondo modulo – ordinario (artt. 437, 438 c.p.c.) – prevede, invece, la pronuncia del solo dispositivo nell’udienza di discussione ed il deposito della sentenza in 60 giorni dalla pronuncia36.
16. Entrata in vigore della riforma
Le nuove norme sulle impugnazioni in generale e quelle specificamente dedicate al giudizio appello (artt. 323 – 359 e art. 283 c.p.c.) si applicano ai gravami proposti dopo il 28 febbraio 2023 (ex art. 35, comma 4, d. lgs n. 149/22)37.
Il testo integrale del saggio è pubblicato su Studium Iuris, 3/2023, pag. 24-31
Autore: Francesco Tedioli
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