Verbale di conciliazione giudiziale
L’Autore si interroga sull’attribuibilità, al verbale di conciliazione giudiziale, dell’efficacia di titolo esecutivo nell’ambito dell’esecuzione degli obblighi di fare o non fare.
Rileva, inoltre, come in materia sussistano opposti orientamenti, sia dottrinali che giurisprudenziali, ed osserva come, in ogni caso, la Corte Costituzionale (vedi la massima in calce) abbia, in passato, censurato gli argomenti addotti da quella che può ritenersi la giurisprudenza prevalente, stabilendo che il verbale di conciliazione andrebbe compreso nell’ambito dell’art. 612 c.p.c., al pari della sentenza di cui è sostitutivo o surrogato.
Mentre non si dubita che il verbale di conciliazione giudiziale sia titolo esecutivo idoneo all’esecuzione per le obbligazioni pecuniarie e per quelle di consegna e rilascio (cfr. art. 185, comma II, c.p.c.), l’attribuzione di tale efficacia è invece oggetto di un annoso dibattito quanto all’esecuzione forzata degli obblighi di fare o di non fare.
Per la soluzione negativa si pronunciano sia la giurisprudenza di legittimità e di merito1, sia la prevalente dottrina2.
Tale indirizzo trae un primo argomento, di carattere letterale, dall’incipit dell’art. 612 c.p.c. che, facendo espresso riferimento soltanto alla sentenza di condanna, sembra escludere la possibilità di esperire l’esecuzione di obblighi di fare o non fare sulla base di titoli esecutivi di diversa natura.
Da un punto di vista sistematico, si afferma poi che sarebbe sempre necessario un previo accertamento della fungibilità e della coercibilità dell’obbligo, il quale può essere contenuto soltanto in un provvedimento giudiziario di cognizione3. Identiche cautele sono richieste nell’ipotesi di distruzione (forzata) della cosa fabbricata in violazione dell’obbligo di non fare, affinché si vagli che non sia arrecato pregiudizio all’economia nazionale4. Neppure l’attiva partecipazione del giudice alla conciliazione sarebbe idonea a conferire al verbale natura di titolo esecutivo in quanto l’intervento svolge una funzione esclusivamente certificativa ed omologativa, mentre fondamentale resta la volontà costitutiva delle parti5.

Infine, un ulteriore ostacolo di ordine sistematico è legato al modus procedendi: mentre la sentenza di condanna assicurerebbe il nesso tra il contenuto del titolo esecutivo, la concreta determinazione delle sue modalità esecutive e la necessaria continuità tra le due fasi, non altrettanto garantirebbe il verbale di conciliazione giudiziale, il cui contenuto trova il proprio parametro non in obiettive esigenze di coordinamento, ma esclusivamente nella volontà e nella capacità di previsione delle parti6.
A tale orientamento se ne contrappone un altro di segno opposto, sostenuto da una posizione dottrinaria sempre meno isolata7, che si fonda, principalmente, su ragioni di economia processuale: così, la tesi restrittiva è definita formalistica8, mentre si apostrofa come assurda la necessità di giungere ad una sentenza che trascriva fedelmente l’accordo delle parti, adempimento, peraltro, inevitabile ove si ritenga il verbale di conciliazione privo di efficacia esecutiva9. La conciliazione non dovrebbe avere altro limite oggettivo che l’indisponibilità del diritto 10, talché irrilevante sarebbe l’asserita inidoneità del verbale ad assicurare certezza in ordine al suo contenuto11. Non si dovrebbe, infatti, contrapporre l’efficacia dell’accertamento giudiziale a quello negoziale12, in quanto un titolo esecutivo è tale solo per scelta di politica legislativa e non perché .. costituisca in sé un accertamento del diritto sostanziale da eseguire coattivamente13.
Il verbale conciliativo, pertanto, andrebbe compreso nell’ambito dell’art. 612 c.p.c., al pari della sentenza 14, della quale, specialmente in materia di diritti disponibili, è sostitutivo o surrogato15.
Alle stesse conclusioni giungeanche una nota pronuncia della Corte Costituzionale16. Anche se si tratta di una sentenza interpretativa di rigetto, e quindi inidonea a modificare l’ordinamento giuridico, perché priva di efficacia vincolante nei futuri giudizi, tale pronuncia non va trascurata per la forza persuasiva derivante dall’autorevolezza dell’organo che l’ha emessa. In particolare, la Corte, dopo aver negato l’esistenza di un diritto vivente che escluda la possibilità di ricorrere alla procedura di cui all’art. 612 c.p.c., censura come deboli gli argomenti addotti dalla consolidata giurisprudenza. Quanto all’ostacolo letterale, rileva che non soltanto le sentenze sono idonee a fondare l’esecuzione specifica, ma anche altri provvedimenti diversi per forma o contenuto. Peraltro, gli interventi legislativi più recenti hanno esteso tale efficacia anche al verbale di conciliazione, ampliando, limitatamente alle ipotesi contemplate, il novero dei titoli azionabili ex art. 612 c.p.c. La Corte richiama, in particolare, l’art. 13, comma IV, della L. 22 luglio 1997, n. 276, relativo al rito applicabile ai procedimenti affidati alle sezioni stralcio, a cui si possono aggiungere: gli artt. 16 e 40, del D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 (c.d. processo societario), e l’art. 3, della L. 30 luglio 1998, n. 281, in tema di controversie promosse dai consumatori, volto ad escludere, tramite una conciliazione, l’esercizio di azioni inibitorie, da parte delle associazioni rappresentative17, nonché, de iure condendo, l’art. 696-bis (Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite), di un progetto di modifica al codice di procedura civile attualmente all’esame della commissione giustizia del Senato. Ancora, la Consulta, in un’ottica sistematica, enfatizza il ruolo del giudice il quale deve valutare che gli obblighi di fare o non fare non siano infungibili o comportino la distruzione di cose in pregiudizio per l’economia nazionale. Tale vaglio, il cui compimento va presunto, è obbligatorio, come si desume dall’art. 183, comma I, c.p.c. (“quando la natura della causa lo consente…”).

Sulla scorta di questi principi, la Corte giunge, dunque, a proporre una lettura estensiva dell’art. 612 c.p.c, precisando che eventuali ragioni ostative … non devono essere valutate “ex post” (nel procedimento di esecuzione) bensì, se .. preesistono, in sede di formazione dell’accordo conciliativo, mentre quelle sopravvenute(o preesistenti, in caso di conciliazione stragiudiziale), vanno, invece, censurate con l’opposizione ex art. 615 c.p.c.
Tra i diversi argomenti utilizzati dalla Consulta, quello che sembra essere davvero persuasivo è il richiamo allo scopo della conciliazione.Infatti, qualora si negasse al verbale di conciliazione l’efficacia esecutiva, si costringerebbe la parte a ripercorrere un nuovo processo di cognizione, determinando così un irragionevole … sacrificio del diritto di difesa, ed una altrettanto irragionevole protrazione dei tempi del processo. Ancora, se si aderisse alla tesi tradizionale e più restrittiva, il timore di un eventuale inadempimento rappresenterebbe un sicuro deterrente a chiudere la controversia con un accordo transattivi, prevalendo in ogni caso, l’interesse alla pronuncia della sentenza, la quale paradossalmente si limiterebbe a recepire il contenuto della conciliazione raggiunta tra le parti.
D’altra parte, si è giustamente notato che, pure in assenza di una pronuncia di illegittimità costituzionale che avrebbe definitivamente risolto la questione, il destino dell’orientamento riduttivo appare comunque segnato18, vuoi in considerazione dei progetti di riforma legislativa, vuoi per il necessario rispetto del principio di economia processuale, tenuto conto, in particolare, che la conciliazione può essere uno strumento deflativo del contenzioso unicamente ove possa pervenire ad identici risultati rispetto a quelli che si possono conseguire con un provvedimento giurisdizionale.
Corte Cost. 12 luglio 2002, n. 336
Anche il verbale di conciliazione costituisce titolo esecutivo efficace ai fini dell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare, in quanto le eventuali ragioni d’ineseguibilità devono essere valutate, se preesistenti, in sede di formazione dell’accordo conciliativo da parte del giudice che lo promuove e sotto la cui vigilanza l’accordo stesso può concludersi soltanto se la natura della causa lo consente, ferma restando, comunque, la possibilità di far valere gli impedimenti sopravvenuti. Escludere tale efficacia, così come ritenuto dal rimettente, negherebbe il valore di accelerazione della definizione della controversia, che costituisce la principale caratteristica della conciliazione e comporterebbe un irragionevole seppur parziale sacrificio del diritto di difesa, nonché una protrazione altrettanto irragionevole dei tempi del processo. Non è pertanto fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 612 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 10, 24, 111 e 113 della Costituzione
Il testo integrale della questione è pubblicato su Studium Iuris, 2005, fasc. 1, pagg. 87-89.
Autore: Francesco Tedioli
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