Revocatoria fallimentare
L’ormai consolidata giurisprudenza di legittimità1 ritiene che la sentenza di accoglimento della domanda revocatoria fallimentare abbia natura costitutiva2 e che la situazione giuridica esercitata dal curatore sia un diritto potestativo3.
Non già, quindi, una pronuncia dichiarativa4 di un illecito, ricognitiva di un diritto di credito5, ma una statuizione modificativa, ex post, in cui il contraddittorio processuale assume il ruolo di strumento necessario per ottenere l’inefficacia di atti originariamente leciti6. Alla pronuncia principale accede, generalmente, un capo condannatorio volto ad assicurare la restituzione dei beni o delle somme a garanzia della massa dei creditori.
Una volta individuata la natura della sentenza, si può chiarire se essa possa beneficiare, nelle more dei termini e dei giudizi di impugnazione, della provvisoria esecutività, o se sia necessario attenderne il passaggio in giudicato. Poiché il nuovo testo dell’art. 282 c.p.c. non chiarisce il proprio ambito di operatività, bisogna far riferimento all’interpretazione offerta da dottrina e giurisprudenza.
Il più recente orientamento del Supremo Collegio ritiene che le sole sentenze di condanna siano provvisoriamente esecutive7, in quanto le uniche idonee, per loro natura, a costituire titolo esecutivo. Il concetto stesso di esecuzione postulerebbe, infatti, un’esigenza di adeguamento della realtà al decisum che non ricorrerebbe nelle pronunce di accertamento e di natura costitutiva8. Con la precisazione che neppure i capi contenenti una condanna (ad es. alla rifusione delle spese legali) godono della provvisoria esecutorietà se accessori ad una pronuncia di rigetto della domanda, costitutiva o di accertamento9.
Tale posizione si scontra con numerose pronunce di merito che sanciscono la generale attitudine all’esecutività delle sentenze di primo grado10 e con altre che, già prima della riforma, avevano concesso la clausola ai capi condannatori consequenziali11.
La medesima frammentazione, aggravata dall’assenza di una pronuncia di legittimità con funzione nomofilattica, si ripresenta in tema di revocatoria fallimentare. Alcune corti di merito classificano la sentenza esecutiva, così come tutte quelle di primo grado12; altre considerano il capo condannatorio un tutt’uno con quello costitutivo ed accordano ad entrambi l’immediata esecutività13; altre ancora ritengono che, tanto i capi costitutivi, quanto quelli condannatori, esplichino i loro effetti, ex nunc, dal momento del passaggio in giudicato14.
Bisogna dar conto, anche, di insolite decisioni che riconoscono la possibilità di agire in revocatoria mediante decreto ingiuntivo per “conseguire una pronuncia di condanna”15. Ma si tratta di una posizione difficilmente condivisibile, stante l’inesigibilità del credito al momento della domanda e l’impossibilità per il giudice di accertare la conoscenza, da parte dell’accipiens, dello stato di insolvenza.
L’interpretazione restrittiva sembra influenzata da una confusione concettuale tra la retroattività degli effetti che conseguono alla sentenza e la sua anticipata esecutorietà16. Quest’ultimo fenomeno, di carattere eminentemente processuale, fa prevalere l’interesse della parte vittoriosa a che la fattispecie sia provvisoriamente regolata secondo il principio di diritto affermato dal giudice in prime cure, su quello del soccombente a che la realtà non sia modificata sino a che tale principio non sia divenuto immutabile o più attendibile. Trattandosi di una scelta di politica legislativa, la natura costitutiva della revocatoria fallimentare non dovrebbe ostacolare l’immediata esecutività dei suoi capi condannatori17 come pacificamente ammesso per quelli patrimoniali in sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio.
La sentenza resa ex art. 67 L.F è profondamente diversa rispetto a quelle di cui agli artt. 2932, 1051, 1052 c.c., che necessitano del giudicato prima di poter essere eseguite per non portare a conseguenze spesso irreparabili. Se il titolo esecutivo dovesse essere travolto nei successivi gradi di giudizio, le risorse, affluite in accoglimento della revocatoria, sarebbero con certezza restituite. Infatti, la loro disponibilità, in pendenza del gravame, è meramente virtuale, non potendo essere distribuite ai creditori18. Senza contare, poi, che il giudice superiore, qualora ne ricorrano i presupposti, può sospendere l’esecutività della sentenza, ex art. 283 c.p.c.
Né pare condivisibile la posizione di quella dottrina che nega l’esecuzione provvisoria ravvisando, nella sentenza che ripristina la garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c., un mero ordine di restituzione e non una condanna19.
L’equivoco nasce dal far coincidere la nozione di esecutorietà con l’idoneità a fondare l’esecuzione forzata e non con il più ampio concetto di anticipazione degli effetti della sentenza.
D’altra parte, l’automatico adeguamento della realtà materiale al decisum si verifica solo in presenza di sentenze costitutive pure, mentre per conseguire gli effetti recuperatori derivanti dall’accoglimento dell’azione revocatoria, in difetto di adempimento spontaneo, il fallimento dovrà comunque ricorrere ad un’ulteriore attività20.
NORMATIVA DI RIFERIMENTO:
art. 67 l. fall.
art. 282 c.p.c.
Il testo integrale della questione è pubblicato su Studium Iuris, 2005, fasc. 1, pagg. 87-89.
Autore: Francesco Tedioli
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