Arbitrato e azione sociale di responsabilità
L’Autore affronta il tema della ammissibilità della revoca ante causam, ai sensi dell’art. 2476, comma 3 c.c., dell’amministratore unico di una società a responsabilità limitata. Dopo aver delineato i presupposti dell’azione sociale di responsabilità nella s.r.l., affronta il tema del rapporto tra l’azione e la richiesta del provvedimento cautelare. Particolare attenzione è dedicata alla disciplina dell’amministratore giudiziario, nonché alla possibilità di compromettere in arbitrato l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori. L’ultimo paragrafo è riservato al tema della pendenza del giudizio arbitrale, tanto rituale comune, quanto societario.
Tribunale di Treviso, 20/21 giugno 2007
- 1. Premessa ed individuazione delle questioni sostanziali e processuali
- 2. L’azione sociale di responsabilità nella srl
- 3. Il rapporto tra l’azione di responsabilità e la richiesta del provvedimento cautelare di revoca
- 4. L’amministratore giudiziario
- 5. Arbitrato e azione sociale di responsabilità
- 5. Quando si può considerare pendente il giudizio arbitrale
1. Premessa ed individuazione delle questioni sostanziali e processuali
Una recente ordinanza, pronunciata dal Giudice designato dal Presidente del Tribunale di Treviso, affronta, fra l’altro, il tema dell’ammissibilità della revoca ante causam, ai sensi dell’art. 2476, co. 3 c.c., dell’amministratore unico di una società a responsabilità limitata.
Il Tribunale, consapevole degli orientamenti non uniformi espressi sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza e richiamate, se pur genericamente, proprie precedenti ed ormai numerose pronunce1, ritiene che la domanda di revoca cautelare degli amministratori non possa essere proposta se non “nell’azione di responsabilità” già promossa nei confronti degli stessi. A sostegno il G.d. richiama la lettera della norma, secondo cui “l’azione di responsabilità contro gli amministratori è promossa da ciascun socio, il quale può altresì chiedere, in caso di gravi irregolarità nella gestione, che sia adottato provvedimento cautelare di revoca”. Tale provvedimento parrebbe inscindibile da una causa di merito, rispetto alla quale non ha carattere propriamente anticipatorio – nella causa è chiesta la condanna al risarcimento dei danni – ma natura strumentale, intesa ad evitare il prodursi di ulteriori danni per la società.
La lettura offerta dal Tribunale troverebbe, inoltre, conferma nella Relazione al D.lgs. 6/2003, che significativamente motiva la soppressione del controllo giudiziario per le società a responsabilità limitata con la legittimazione, attribuita ad ogni socio, all’azione sociale di responsabilità e con la possibilità di chiedere “in quella sede” il provvedimento di revoca degli amministratori, revoca che del resto anche l’art. 2409 c.c. consentiva solo all’interno della procedura di controllo.
A fronte dell’eccezione che, comunque, un giudizio (arbitrale) di merito era già stato instaurato e che la fase cautelare doveva svolgersi avanti il tribunale ordinario, il G.d. esclude che, nel caso sottoposto alla sua attenzione, la lite possa considerarsi instaurata. Infatti, la semplice istanza di nomina dell’arbitro, rivolta all’ente previsto nella clausola compromissoria dello statuto sociale, non determinerebbe la pendenza del giudizio.
Quanto, infine, alla domanda subordinata, il Tribunale ritiene del tutto irrituale la richiesta di “sospensione delle facoltà” dell’amministratore, in quanto, in nessun caso, il giudice potrebbe nominare un amministratore provvisorio. Detta nomina compete, infatti, all’assemblea dei soci. Per tutti questi motivi, dunque, le istanze cautelari formulate vengono giudicate inammissibili.
2. L’azione sociale di responsabilità nella srl
L’art. 2476 c.c. disciplina la responsabilità degli amministratori nella s.r.l.2. La norma, al co. 3, prevede che ciascun socio3, indipendentemente dall’entità della propria quota di partecipazione4 e senza alcuna necessità di previa deliberazione assembleare, possa promuovere l’azione sociale5/6 contro gli amministratori che, nella gestione della società ed in violazione ai loro doveri, hanno provocato un danno al patrimonio sociale. La disposizione configura una forma di sostituzione processuale (art. 81 c.p.c.)7, in quanto il socio fa valere in nome proprio un diritto altrui8.
Nonostante l’assenza di un’esplicita indicazione in tal senso, la legittimazione all’esercizio dell’azione spetta anche alla società9/10 che, comunque, è litisconsorte necessaria nel giudizio11 instaurato dal socio. Se in causa sono convenuti tutti gli amministratori o se la società ha un amministratore unico, il Presidente del tribunale, su istanza del socio, deve nominare un curatore speciale, ai sensi dell’art. 78 c.p.c.12.
L’esercizio dell’azione di responsabilità è volto ad ottenere (esclusivamente13) il risarcimento dei danni provocati alla società dall’inosservanza, da parte degli amministratori14, dei doveri imposti per l’amministrazione della medesima, dalla legge e dall’atto costitutivo. Tuttavia, la responsabilità non si estende a quelli che dimostrino di essere stati esenti da colpa e, conoscendo l’atto che si stava per compiere, abbiano manifestato il proprio dissenso.
Dal punto di vista processuale, gli amministratori convenuti possono far valere nei confronti del socio attore, ogni eccezione, sostanziale o processuale, opponibile alla società. L’eventuale sentenza di condanna non deve essere emessa a favore del socio, ma della società15, la quale ha il diritto di impugnare la pronuncia, se sfavorevole.
L’accoglimento della domanda non determina la revoca automatica degli amministratori. Tale misura cautelare, infatti, può essere chiesta solo in caso di gravi irregolarità nella gestione della società16 e con effetti limitati al tempo necessario per la pronuncia definitiva sull’azione avente per oggetto il risarcimento dei danni.
Sul punto, bisogna dare atto, però, di una tesi dottrinale17 e giurisprudenziale18, secondo la quale l’art. 2476, co. 3, c.c. delineerebbe, nel merito, (anche) un’azione di revoca degli amministratori. In particolare, la norma conterrebbe la previsione di due distinte azioni esperibili dai soci di una s.r.l. nei confronti degli amministratori inadempienti. Da una parte, l’azione di responsabilità sociale prevista dal co. 1; dall’altra, l’azione di revoca di cui al co. 3, le quali non coincidono, né devono essere proposte cumulativamente. La prima richiederebbe la responsabilità degli amministratori per il verificarsi di un danno al patrimonio della società di cui viene chiesto il risarcimento; la seconda il compimento, da parte dei medesimi, di irregolarità di gestione che potrebbero anche non essere produttive di danno e per effetto delle quali i soci chiedono la loro rimozione dalla carica.
Si tratterebbe, pertanto, di due azioni diverse per petitum e causa petendi, che possono essere proposte cumulativamente – tale sarebbe il significato da attribuire al pur equivoco avverbio “altresì” contenuto nel co. 3 dell’art. 2476 c.c. – restando comunque ammissibile la proposizione di una domanda limitata alla sola revoca. Questa tesi, che, in qualche sua espressione19, ammette anche l’esperimento della domanda di revoca cautelare ante causam quale misura anticipatoria rispetto ad un’azione di merito tesa ad ottenere la revoca in via definitiva degli amministratori20, non pare condivisibile21.
Se così fosse, infatti, il quadro e la funzione della norma in questione assumerebbero una portata molto più vasta. La minoranza (intesa anche come il singolo socio) non solo potrebbe chiedere la reintegrazione del patrimonio della società depauperato ad opera degli amministratori infedeli, ma anche di rimuoverli definitivamente, senza ricorrere ad una conforme delibera assembleare. A mio parere, inoltre, tale ricostruzione viola il disposto dell’art. 2908 c.c. (tassatività delle azioni costitutive)22 ed estende oltre misura il disposto dell’art. 2476 c.c., ove la revoca è solo cautelare e strumentale rispetto al risarcimento dei danni23.
Nonostante le numerose perplessità manifestate, la configurabilità dell’azione di revoca in termini di autonomia sembrerebbe trovare un notevole avallo in un obiter dictum della sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale, 29 dicembre 2005, n. 481, che così recita: “la qualificazione di cautelare data dalla legge alla misura della revoca ben può essere intesa … nel senso di strumentale (ed anticipatoria rispetto) ad una azione volta ad ottenere una sentenza di revoca degli amministratori, per ciò solo che nella gestione della società sono presenti “gravi irregolarità” e v’è mero pericolo di danno per la medesima”.
3. Il rapporto tra l’azione di responsabilità e la richiesta del provvedimento cautelare di revoca
Non esiste uniformità di vedute in ordine al rapporto che deve intercorrere tra l’azione di responsabilità e la richiesta di provvedimento cautelare di revoca degli amministratori.
Secondo parte della dottrina24 e della giurisprudenza25, il provvedimento cautelare potrebbe essere chiesto (ex art. 669 ter o ex art. 70026 c.p.c.) anche prima dell’inizio della causa avente ad oggetto la responsabilità degli amministratori. A questa tesi – a mio parere più convincente – consegue, che, se la causa di merito non viene iniziata o se il giudizio promosso si estingue, il provvedimento cautelare di revoca conserva la sua efficacia27 ai sensi degli artt. 1, co. 4, e 23 del D. Lgs.5/200328. Inoltre, esaurita l’eventuale fase di reclamo, se si verificano mutamenti nelle circostanze (art. 23, co. 3), è sempre possibile chiedere la revoca del provvedimento cautelare al giudice che ha provveduto sull’istanza. In tale contesto, pertanto, il provvedimento di revoca degli amministratori potrebbe essere concesso anche in presenza di un danno solo potenziale29, prescindendo dall’azione di responsabilità che, come si è visto, ha natura risarcitoria30.
Secondo l’opinione contraria31, invece, il provvedimento cautelare si colloca nell’alveo dell’azione di responsabilità32, necessita la pendenza del giudizio di merito e presuppone che un danno si sia già verificato. I sostenitori della tesi negativa, pertanto, oltre a richiamare il dato letterale33 ed a valorizzare quanto indicato nella relazione al D.lgs. 6/200634, fanno leva sulla natura conservativa35 e non anticipatoria36 del provvedimento di revoca rispetto alla sentenza di accertamento della responsabilità e della conseguente condanna al risarcimento dei danni causati dagli amministratori.
Sarebbero, pertanto, irrilevanti le irregolarità che, per quanto gravi, non risultino pregiudizievoli per il patrimonio sociale37. In altre parole, se manca il danno o se lo stesso è solo potenziale, difetta il presupposto per l’azione di responsabilità e, di conseguenza, di una correlata misura cautelare. Se, invece, il pregiudizio patrimoniale esiste, poiché è elemento costitutivo della fattispecie risarcitoria già in punto di fumus boni iuris, esso va verificato nel giudizio di merito38.
E’ importante sottolineare che l’individuazione della natura anticipatoria o conservativa della misura in esame assume rilevanza in luce del disposto di cui all’art. 23 D.lgs. 5/2003, secondo cui i provvedimenti d’urgenza e quelli idonei ad anticipare gli effetti della decisione di merito non perdono efficacia se la causa di merito non viene iniziata ovvero se, iniziata poi, si estingue. La sussunzione nei provvedimenti cautelari con funzione anticipatoria ovvero in quella con funzione conservativa determina, infatti, l’applicabilità o meno, del regime di strumentalità attenuata delineato dalla norma sopra citata.
A mio parere, la tesi dell’inammissibilità della revoca ante causam degli amministratori non va condivisa, perché da una parte, senza esplicarne il motivo ed in aperta violazione dell’art. 24 Cost, nega la possibilità di applicare la disciplina generale del processo cautelare uniforme ogni qual volta l’accertamento giudiziale si appalesi complesso e non immediato39; dall’altra perché non riconosce l’ammissibilità dei provvedimenti cautelari ante causam di carattere conservativo, in palese ed irragionevole contrasto con l’intero sistema del processo cautelare societario (art. 23)40. In tale ambito, infatti, parte della dottrina41, amplia il concetto di natura anticipatoria, ricomprendendo anche i provvedimenti che procurano solo parziale soddisfazione al diritto tutelato42 (come la revoca degli amministratori, strumentale all’azione di risarcimento dei danni). Inoltre, la teoria criticata attribuisce una importanza univoca e decisiva al dato letterale, ove, invece, l’avverbio altresì, per nulla esclude che la revoca cautelare possa essere domandata ante causam43.
Nel filone interpretativo restrittivo si colloca anche quella dottrina44 che, sostenendo una tesi non dissimile da quella del Tribunale di Treviso, osserva come il provvedimento di revoca sia un rimedio cautelare tipico, assimilabile – per funzione – a quello cautelare atipico ex art. 700 c.p.c.45 che non può essere esperito prima o in mancanza dell’azione di responsabilità46. Altra giurisprudenza47, del pari, ritiene che l’art. 2476, co. 3, c.c. sia norma speciale rispetto a quelle più generali che regolano i procedimenti cautelari in materia societaria (artt. 23-24 D.lgs. 5/2003), norme a loro volta speciali rispetto agli artt. 669 bis ess.c.p.c. La regola della generale ammissibilità del provvedimento cautelare ante causam, pertanto, non opererebbe in applicazione del principio di incompatibilità.
Anche questa posizione non appare condivisibile. Non vi sono, infatti, ragioni per considerare l’art. 2476, co. 3, c.c. lex specialis48 rispetto al procedimento cautelare uniforme. Va ricordato, inoltre, che la subordinazione della tutela urgente alla pendenza del giudizio di merito deve essere espressamente stabilita dal legislatore (come accade nell’art. 2378, co. 3, c.c.)49.
Secondo parte della dottrina50 e della giurisprudenza51, mancherebbe, infine, l’indispensabile requisito teleologico (della strumentalità)52 tra la richiesta cautelare e la domanda di risarcimento danni formulata nel merito. La prima, lungi dall’anticipare gli effetti risarcitori della seconda o da presentare finalità in qualche modo conservative, sarebbe un accessorio rispetto all’azione ex art. 2476 c.c., un mezzo incidentale per impedire, nelle more del giudizio, che gli amministratori compiano attività dannose53. Tuttavia, anche questa argomentazione non pare decisiva. Infatti, è sufficiente richiamare la disciplina della revoca giudiziaria dell’amministratore delle società di persone (art. 2259 c.c.). Essa è completamente svincolata dalla domanda risarcitoria ed è esperibile prima e a prescindere dal relativo giudizio di merito54.
4. L’amministratore giudiziario
Il Tribunale di Treviso respinge la richiesta di sospendere cautelarmente le facoltà dell’amministratore o di nominare un amministratore provvisorio55.
La soluzione è indubbiamente corretta; infatti, con l’eliminazione della possibilità di procedere ai sensi dell’art. 2409 c.c., gli amministratori non possono essere sostituiti dall’amministratore giudiziario, bensì nei modi ordinari previsti dalla legge. Qualora, pertanto, l’atto costitutivo non preveda uno specifico sistema di sostituzione dell’amministratore revocato, vi dovrà provvedere l’assemblea o una decisione dei soci.
5. Arbitrato e azione sociale di responsabilità
Un’ulteriore questione, marginalmente affrontata dall’ordinanza in commento, riguarda la possibilità di compromettere in arbitrato l’azione sociale di responsabilità contro gli amministratori. Conformemente a prevalente giurisprudenza56 e dottrina57, ritengo si debba dare una risposta positiva al quesito in quanto l’azione esperita dal socio riguarda diritti disponibili58 che possono formare oggetto di transazione59 (limite oggettivo alla possibilità di iuris dicere degli arbitri).
Neppure si ravvisano limiti soggettivi all’operare della clausola60, in quanto l’art. 34, co. 1, D. lgs. 5/2003 pare estendere la sua portata agli amministratori che, con l’accettazione della carica sociale, manifestano una sorta di consenso implicito anche alla clausola compromissoria61.
Va, infine, ricordato che i provvedimenti cautelari, quali quello in esame, sono in generale esclusi dalla competenza degli arbitri (art. 818 c.p.c.; art. 35, co. 5, D.lgs. 5/200362)63. Le parti, pertanto, devono chiederne la concessione al giudice ordinario, ed, in particolare, a quello che avrebbe potuto conoscere la controversia se non vi fosse stato l’accordo arbitrale (art. 669 quinquies c.p.c.).
5. Quando si può considerare pendente il giudizio arbitrale
Un’ultima questione processuale riguarda il momento in cui si può ritenere pendente il giudizio arbitrale64. Con riferimento all’arbitrato rituale comune, la dottrina maggioritaria65 e la più recente giurisprudenza66 considerano che la litispendenza si verifichi con la notificazione (o la comunicazione) alla controparte dell’atto contenente la domanda e la contestuale nomina del (proprio) arbitro (810 c.p.c.) e non con la costituzione del collegio arbitrale67.
La litispendenza determina, infatti, tutta una serie di effetti che la parte deve poter essere in grado di produrre da sola, senza dover contare sulla cooperazione di terzi, specialmente ove detto contegno possa dilazionare, in modo anche rilevante, il momento della produzione degli effetti stessi.
Una conferma della tesi maggioritaria si trae anche da alcune disposizioni (artt. 2943, ult. co., 2652, ult. co., 2653, ult. co., 2690, ult. co., 2691, ult. co., c.c. e 669 octies c.p.c.) che ricollegano alla notificazione della domanda di arbitrato, indipendentemente dall’accettazione degli arbitri, una serie di effetti strettamente connessi alla pendenza del giudizio, evidenziando, così, che il procedimento arbitrale ha inizio proprio con la predetta notifica.
Può accadere, però, che nella convenzione di arbitrato, non sia prevista la facoltà di indicazione degli arbitri in capo alle parti. In tal caso, ritengo che la litispendenza sia determinata dal deposito del ricorso al Presidente del Tribunale o al terzo designato, o, nell’evenienza dell’arbitrato amministrato, dal deposito della domanda di arbitrato. In tutte e tre le ipotesi, ovviamente, la domanda di merito deve essere già stata notificata a controparte o deve essere già contenuta nell’atto introduttivo.
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Quanto all’arbitrato societario, il potere di nomina di tutti gli arbitri deve essere conferito, a pena di nullità, ad un soggetto terzo totalmente estraneo alla società. Non esiste alcuna previsione normativa che stabilisca quale, tra l’istanza di nomina degli arbitri e la domanda di arbitrato, debba essere precedente o successiva68. Conformemente alla recentissima giurisprudenza di merito69, ritengo corretta la scelta di notificare innanzitutto la domanda di arbitrato, riservando all’esito della definizione dell’oggetto del procedimento arbitrale la proposizione dell’istanza di nomina degli arbitri. Fatta questa premessa, credo che la litispendenza si verifichi esaurito l’intero iter procedimentale (notifica della domanda arbitrale ed istanza rivolta al soggetto terzo), senza necessità di avvenuta designazione degli arbitri o di accettazione, da parte degli stessi, dell’incarico ricevuto70.
La tesi pare trovare conferma nell’art. 35, d.lgs. n. 5 del 2003, ove prevede che la domanda di arbitrato, proposta dalla società o nei suoi confronti, debba essere depositata presso il registro delle imprese. Siffatto adempimento va effettuato subito dopo la notificazione (e anche) prima della costituzione del collegio arbitrale, con lo scopo di rendere pubblica la pendenza del procedimento arbitrale, al fine di consentire ad eventuali interessati di intervenire nel procedimento71.
Nel caso in esame, l’ordinanza del Tribunale di Treviso non chiarisce se la parte istante abbia notificato a controparte la domanda arbitrale, ma solo che è stata avanzata una semplice richiesta di nomina dell’arbitro, rivolta all’ente previsto nella clausola compromissoria dello statuto sociale.
Non è, pertanto, possibile esprimersi in ordine alla correttezza o meno della pronuncia, la quale esclude che la lite sia stata instaurata. A mio parere, dunque, il giudizio arbitrale non era pendente, a meno che l’istanza rivolta al terzo designatore non fosse stata preceduta dalla notifica dell’atto introduttivo del giudizio.
- artt. 2476, 2409, c.c.
- artt. 78, 81, 669 ter, 700, c.p.c.;
- art. 34, comma I, D. Lgs. n. 5/2003
Il testo integrale della nota all’ordinanza del Tribunale di Treviso è pubblicata su Studium Iuris, 2008, fasc. 2, pagg. 133-141.
Autore: Francesco Tedioli
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