La nomina degli arbitri nell’arbitrato societario
Ai sensi dell’art. 34, comma II, D. Lgs. 17 gennaio 2003, n 5, la clausola compromissoria che devolva ad arbitri le controversie sociali deve conferire in ogni caso, a pena di nullità, il potere di nomina di tutti gli arbitri a soggetto estraneo alla società. Ove il soggetto designato non provveda, la nomina è richiesta al presidente del tribunale del luogo in cui la società ha la sede legale.
L’individuazione normativa di un soggetto estraneo alla società appare giustificata dalla particolare forma di giustizia prescelta dal gruppo organizzato1 che richiede una spiccata garanzia di indipendenza ed imparzialità dell’arbitro. Infatti le controversie (tra soci ovvero tra soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale; promosse da amministratori, liquidatori e sindaci ovvero nei loro confronti; aventi ad oggetto la validità delle delibere assembleari), pur interessando soggetti determinati, possono coinvolgere, direttamente od indirettamente, l’intera compagine sociale o l’ente-società, sicché si è preferito sottrarre alle parti (organi sociali-soci) ogni potere di nomina2.
Secondo una diversa interpretazione3, la ratio della disposizione va individuata, invece, nella necessità di evitare tutti i problemi, di ordine pratico, che in passato affliggevano gli arbitrati con più di due parti o con un numero dispari di poli di interesse4. Risultato, in particolare, ottenuto attribuendo al patto compromissorio efficacia nei confronti di tutti gli interessati.
La designazione di un estraneo va letta, inoltre, come espressa presa di posizione del legislatore in ordine all’illegittimità delle clausole compromissorie che attribuiscono la funzione di arbitro agli organi della società5. Tali soggetti non sono estranei, difettano del requisito essenziale dell’imparzialità6, e, come tali, non possono nominare arbitri, né, a fortiori, esserlo.
Nel nuovo rito societario, dunque, terzo designatore può essere una persona fisica (determinata o determinabile – ad es. il presidente della camera di commercio, del tribunale, di un ordine professionale) ovvero un ente (pubblico, privato, associazione o gruppo di professionisti, Camera arbitrale…), purché totalmente estraneo alla società e, soprattutto, non coinvolto con gli interessi in conflitto (pertanto, non socio, amministratore, sindaco, o associazione di categoria). La sua nomina può essere introdotta o soppressa, nello statuto, con una delibera, approvata a maggioranza dei soci che rappresenti i 2/3 del capitale sociale. Sino al 31 dicembre 2004, essa poteva essere adottata dall’assemblea straordinaria a maggioranza semplice dei presenti.
Come si è avuto modo di dire, la clausola che non conferisca al terzo, ma a ciascuna delle parti in conflitto, il potere di nomina degli arbitri è nulla7.
C’è da chiedersi cosa succeda, invece, in ipotesi di mancata indicazione del terzo estraneo. La nullità interessa la clausola compromissoria nel suo complesso o è possibile salvare la devoluzione ad arbitri voluta dalle parti, estendendo la portata letterale dell’art. 34, comma II, e, quindi attribuendo il potere di nomina al presidente del tribunale?
Nonostante parte della dottrina8 opti per la seconda soluzione, ritenendo che la ratio della disposizione non sia quella di imporre che la clausola individui il soggetto che deve procedere alla nomina ma soltanto di sottrarre alle parti tale potere, credo sia più corretta la prima opzione9.
Alla autorevole proposta10 secondo la quale dovrebbe trovare applicazione il meccanismo sostitutivo di cui all’art. 1419, comma II, c.c., si può obiettare che non esiste una norma imperativa da sostituire, di diritto, alla previsione nulla. Non si può invocare l’intervento del presidente del tribunale del luogo ove la società ha la sede legale11 che è previsto nella sola ipotesi, residuale e sostitutiva, in cui il soggetto designato non provveda12, né applicare direttamente l’art. 809 c.p.c. che dispone la nomina dell’intero collegio da parte del presidente del tribunale del luogo ove è la sede legale dell’arbitrato13.
Sul versante della ratio, attribuire il potere di nomina ad un giudice, per sanare la nullità di clausole che provengono dalla libera determinazione (o accettazione) delle parti appare poco rispettoso dell’impostazione generale della nuova legge14 che accentua i profili privatistici del fenomeno di risoluzione delle controversie alternative alla giurisdizione15. In altre parole, svilirebbe l’importanza del terzo e delle parti nella sua nomina, momento qualificante del modello di arbitrato societario.
La nullità, pertanto, non può essere che totale e travolgere l’intera clausola16.
Va esclusa, altresì, la possibilità che l’arbitrato speciale si converta in arbitrato comune17.
A mio parere, l’unica forma di arbitrato configurabile, nelle controversie che rientrano nell’ambito dell’art. 34, comma I, D.Lgs. n. 5/2003, è quella disciplinata dalla normativa speciale, la quale opera in presenza di una clausola compromissoria inserita nello statuto o nell’atto costitutivo della società18. La nuova disciplina ha, pertanto, natura esclusiva di altri concorrenti riti arbitrali e non può convivere con la disciplina codicistica (salvo nei casi in cui quest’ultima svolga una funzione integrativa di eventuali lacune).
In altre parole, le clausole compromissorie preesistenti devono essere necessariamente sostituite ed adeguate, pena la loro invalidità, con la disciplina prevista dal nuovo rito societario19.
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Il principio opera anche per le clausole di nuova generazione che non possono continuare ad applicare principi difformi dell’arbitrato di diritto comune20.
Gran parte della dottrina21 si schiera, però, per la soluzione opposta, anche nell’ipotesi di compromesso, sottoscritto dalle parti a lite insorta22.
A mio avviso, però, ammettere l’arbitrato previsto dal codice di rito,in materia societaria, comporterebbe l’inevitabile elusione delle rilevanti novità introdotte (quali, ad esempio, oltre a quella in commento, la possibilità di decidere, incidentalmente, su materia non compromettibile, il regime impugnatorio del lodo, il potere cautelare degli arbitri in tema di sospensione delle delibere assembleari) e non terrebbe conto dell’art. 35 che sancisce l’inderogabilità del procedimento.
Ritengo, pertanto, che debba rimanere ferma la giurisdizione del giudice ordinario anche nel caso in cui, per difetto di adeguamento o per volontà contraria, nello statuto, nell’atto costitutivo, in un compromesso o in una clausola compromissoria successiva, non venga direttamente indicato il terzo designatore.
NORMATIVA DI RIFERIMENTO:
art. 34, comma II, d. legisl. 17 gennaio 2003, n. 5
Il testo integrale del saggio è pubblicato su Studium Iuris, 2005, fasc. 10, pagg. 1212-1214.
Autore: Francesco Tedioli
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