L’inadempimento nei contratti agrari

L’art. 5 della legge n. 203/82 prevede, al terzo comma, che “prima di ricorrere all’autorità giudiziaria il locatore è tenuto a contestare all’altra parte, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l’inadempimento e ad illustrare le proprie motivate richieste. Ove il conduttore sani l’inadempienza entro tre mesi dal ricevimento di tale comunicazione, non si dà luogo alla risoluzione del contratto”.


GIURISPRUDENZA


Cassazione civile , sez. III ,23-03-2023 , n. 8323
In tema di affitto di fondo rustico, qualora il concedente abbia inviato una diffida ai sensi dell’art. 5 della l. n. 203 del 1982 adducendo una pluralità di inadempimenti dell’affittuario, alcuni dei quali indicati in modo sufficientemente specifico ed altri in maniera soltanto generica, il successivo esercizio dell’azione è proponibile limitatamente agli inadempimenti specificamente individuati (che all’affittuario ha avuto facoltà di sanare) sia nel caso in cui ognuno di essi risulti astrattamente idoneo a giustificare la risoluzione, sia se questa possa eventualmente essere dichiarata in base a una loro congiunta valutazione; l’azione è, invece, improponibile per gli inadempimenti indicati genericamente, ancorché l’atto introduttivo provveda a specificarli.

Tribunale Latina , 28-10-2020
Ai sensi dell’ art. 5, comma terzo, della legge n. 203 del 1982 , prima di ricorrere all’autorità giudiziaria, il locatore è tenuto a contestare all’altra parte, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, l’inadempimento e ad illustrare le proprie motivate richieste. Come risulta evidente dal dato letterale della disposizione in esame, che fa generico riferimento al ricorso all’autorità giudiziaria, la stessa si applica in ogni caso in cui il locatore intenda promuovere un giudizio al fine di ottenere la risoluzione del contratto di affitto per inadempimento del conduttore ( art. 5, comma secondo, della legge n. 203 del 1982 ), e pertanto anche nel caso in cui tale pronuncia venga invocata nelle forme della convalida di sfratto. L’invio della comunicazione, prevista dall’ art. 5 della legge n. 203 del 1982 , in luoghi diversi dalla residenza effettiva del destinatario, e non costituenti neppure dimora o domicilio dello stesso, non appare idonea a soddisfare il requisito di procedibilità previsto dall’ art. 5 della legge n. 203 del 1982 .

Cassazione civile , sez. III , 14-10-2019 , n. 25759
La contestazione dell’inadempimento che il locatore, ai sensi dell’ art. 5 l. n. 203 del 1982 , ha l’onere di comunicare al conduttore prima di ricorrere all’autorità giudiziaria per la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico a coltivatore diretto, non deve necessariamente contenere anche una diffida ad adempiere entro il termine assegnato al conduttore dalla legge per sanare l’inadempimento perché la relativa facoltà deriva a quest’ultimo direttamente dalla legge e può essere, quindi, esercitata indipendentemente dall’invito del locatore.

Trib. Mantova, sentenza n. 363/2019
Come ha avuto modo di statuire la Suprema Corte, la disposizione del terzo comma dell’art. 5 della legge n. 203 del 1982 ha natura di norma di ordine pubblico, avendo lo scopo di evitare l’instaurazione di procedimenti giudiziari e di assicurare la stabilità dei rapporti agrari, e configura un presupposto di proponibilità della domanda giudiziale di risoluzione.

Le prime pronunce in merito della Suprema Corte avevano affermato che i preventivi adempimenti prescritti dagli artt. 5 e 46 della legge n. 203/82 a carico del locatore che intenda proporre domanda di risoluzione potevano essere assolti anche mediante un’unica e contestuale comunicazione (contenente l’illustrazione degli inadempimenti contrattuali addebitati, le motivate richieste del concedente e gli estremi – petitum e causa petendi – della domanda giudiziale che si intende proporre), ferme restando comunque la improponibilità dell’azione di risoluzione prima che sia scaduto il termine di sessanta giorni di cui al comma 5 dell’art. 46 e l’impossibilità di dar luogo alla pronuncia di risoluzione nel caso di sanatoria della inadempienza entro tre mesi dal ricevimento della comunicazione ai sensi del comma 3 dell’art. 5.

Successivamente altre pronunce della Suprema Corte avevano, invece, affermato che l’art. 5 della legge 203/82, avendo lo scopo di porre l’affittuario in grado di sanare l’eventuale inadempienza entro tre mesi dalla comunicazione, fissava una fase pregiudiziale che doveva necessariamente precedere la convocazione dinanzi a all’Ispettorato dell’Agricoltura per il tentativo di conciliazione previsto dall’art. 46, e quindi formare oggetto di un atto separato ed autonomo, posto che tale tentativo si giustificava solo dopo l’esito negativo della diretta contestazione dell’inadempienza effettuata dal locatore ex art. 5 e comunque dopo che, attraverso eventuali contestazioni dell’affittuario in ordine alle inadempienze addebitategli, fossero stati chiariti i termini della controversia.

Il contrasto è stato composto dalle SS.UU della Suprema Corte (Cass. Civ. Sez. Unite n. 633/93) con l’adesione tale secondo indirizzo poi costantemente seguito dalle successive e anche più recenti pronunce in merito.

Recentissima giurisprudenza ha ritenuto di doversi discostare da detto indirizzo, rilevando come un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in questione alla luce sia dell’art. 24 che dell’art. 111 della Cost., ne imponga una diversa lettura, conforme al precedente orientamento della corte. Non vi è dubbio, infatti, che i due adempimenti richiesti dalla normativa costituiscano entrambi condizioni di proponibilità dell’azione (e, quindi, condizioni processuali necessarie al fine di adire l’autorità giudiziaria), pur avendo, come sottolineato dalle Sezioni Unite sopra citate, finalità diverse. In particolare la preventiva contestazione degli inadempimenti ex art. 5 della citata legge 203/82 è prevista con esclusivo riferimento alla risoluzione del contratto e tende in modo specifico e diretto a recuperare la mancata cooperazione del conduttore attraverso la possibile sanatoria dell’inadempimento già consumato, restringendo le ipotesi di scioglimento del rapporto ai casi in cui l’inosservanza delle fondamentali obbligazioni da parte del coltivatore e il rifiuto dello stesso a porvi rimedio nel termine all’uopo concesso rendono incompatibile il perdurare del suo insediamento sul fondo.

Nella ristretta area della risoluzione la contestazione in parola ha quindi diretta incidenza sul piano sostanziale del rapporto – in deroga alle norme del codice in tema di contratti – e si svolge tra le parti del rapporto stesso senza intervento di terzi e senza un vero e proprio procedimento stragiudiziale di conciliazione, anche se, attraverso il possibile riequilibrio del contratto, nel termine previsto, realizza anche la finalità della limitazione del contenzioso giudiziario. In un’ottica essenzialmente processuale si colloca invece la comunicazione ex art. 46 che presenta un più vasto ambito di applicazione (ogni controversia in materia di contratti agrari), ha funzione tipicamente conciliativa, perseguita con l’intervento di soggetti estranei ed esperti della materia, e dà vita ad una vera e propria fase procedimentale in ordine alla quale sono precisati i soggetti partecipanti (le parti, l’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura ed eventualmente i rappresentanti delle associazioni professionali di categoria) e di tempi di svolgimento (venti giorni per la convocazione da parte dell’Ispettorato, sessanta giorni complessivi per la definizione)” .

Non si deve ritenere che da tali distinte finalità derivi, quale necessario corollario, sotto il profilo logico e giuridico, “che l’art. 5 della legge 203/82, avendo lo scopo di porre l’affittuario in grado di sanare l’eventuale inadempienza entro tre mesi dalla comunicazione, (fissi) una fase pregiudiziale che deve necessariamente precedere la convocazione dinanzi all’Ispettorato dell’Agricoltura per il tentativo di conciliazione previsto dall’art. 46, e quindi formare oggetto di un atto separato ed autonomo” .

La contestazione di cui all’art. 5 presuppone infatti che un grave inadempimento dell’affittuario, tale da determinare la risoluzione del contratto si sia già verificato (e, in particolare, per quanto attiene all’obbligazione di pagamento del canone, che la morosità sia superiore ad una annualità); la norma non prevede che nel successivo termine di tre mesi l’affittuario debba o possa contestare le inadempienze addebitategli e chiarire così i termini della controversia, essendo detto termine previsto unicamente ed esclusivamente per consentire a quest’ultimo l’esatto adempimento dell’obbligazione contrattuale non assolta, adempimento che, seppur tardivo, impedisce che possa darsi luogo alla risoluzione del contratto; la sede deputata ad eventuali contestazioni e chiarimenti, così come per ogni controversia in materia di contratti agrari, è infatti il tentativo obbligatorio di conciliazione, in cui le parti, con l’ausilio dei terzi, chiamati ad intervenire a tale tentativo, possono trovare una soluzione transattiva che, in quanto tale, può avere contenuto anche diverso dall’esatto adempimento dell’obbligazione a carico dell’affittuario, evitando in ogni caso l’instaurazione del giudizio.

E’ quindi proprio in considerazione del diverso scopo ed ambito di operatività delle due norme in esame e della natura di condizione di proponibilità dell’azione, degli adempimenti in esse previsti che detti oneri possono ritenersi adempiuti anche con l’invio di un’unica comunicazione, che soddisfi entrambe le suddette finalità, consentendo, da un lato, all’affittuario, che intenda sanare l’inadempimento, di provvedervi entro i tre mesi successivi e di evitare, in tal modo, sul piano sostanziale, la risoluzione del rapporto, e, indirettamente, sul piano processuale, l’instaurazione del relativo giudizio, e, dall’altro, di proporre, nell’ambito del tentativo obbligatorio di conciliazione, eventuali proposte transattive, anche contestando il dedotto inadempimento, tentativo che, se concluso con esito positivo, consente del pari di evitare il ricorso all’autorità giudiziaria.

Né può considerarsi ostacolo a detta interpretazione il diverso termine previsto dall’art. 5 e dall’art. 46 l. n. 203/82 (oggi art. 11 D. Lvo n. 150/11), posto che, operando in campi diversi, entrambi devono essere rispettati, con l’unica conseguenza che il concedente potrà promuovere azione giudiziaria di risoluzione del contratto di affitto per grave inadempimento dell’affittuario solo a seguito dell’esperimento negativo del tentativo obbligatorio di conciliazione o, comunque, qualora il tentativo obbligatorio di conciliazione non si sia concluso entro il termine di sessanta giorni dall’invio della raccomandata di cui all’art. 46, trascorso quest’ultimo termine, e solo dopo che siano altresì trascorsi tre mesi dal ricevimento, da parte dell’affittuario, della comunicazione di contestazione degli addebiti e questi non abbia provveduto alla sanatoria.

La diversa interpretazione secondo la quale la procedura di instaurazione del tentativo obbligatorio di conciliazione può essere avviata dal concedente (con atto quindi autonomo) solo dopo l’inutile decorso del termine di tre mesi dall’invio della comunicazione di cui all’art. 5, comporterebbe invero una ingiustificata limitazione del diritto del concedente di agire in giudizio a tutela dei propri diritti e ad ottenere, i tempi ragionevoli, una decisione in merito; tenuto conto altresì che “il rilascio del fondo può avvenire solo al termine dell’annata agraria durante la quale è stata emessa la sentenza che lo dispone”, aggiungere un termine di ulteriori tre mesi ai tempi di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione (o comunque ai sessanta giorni dall’invio della raccomandata ex art. 46) ed ai tempi di instaurazione e di svolgimento del processo (integrando le disposizioni di cui all’art. 5, si sottolinea, condizione di proponibilità dell’azione) comporterebbe, nella maggior parte dei casi di grave inadempimento dell’affittuario, la possibilità per il concedente di ottenere il rilascio del fondo, a seguito della risoluzione giudiziale del rapporto, solo trascorse più annualità dal verificarsi dell’inadempimento.

Basti sottolineare come, in ipotesi di morosità dell’affittuario, a fronte del persistente inadempimento da parte di quest’ultimo che non possa o non intenda sanare, il concedente dovrà attendere a tal fine, normalmente, almeno tre anni, ed infatti tenuto conto che la morosità rileva quale grave inadempimento solo se superiore ad una annualità del canone, a tale periodo dovrebbero aggiungersi i tempi di ricevimento della raccomandata di cui all’art. 5, i tre mesi per la sanatoria, i tempi di ricevimento della raccomandata di cui all’art. 46, i sessanta giorni successivi e, scaduto quest’ultimo termine, i tempi per l’instaurazione e lo svolgimento del giudizio di merito e per l’esecuzione, la scadenza dell’annata agraria in corso, tempi che ben difficilmente potranno essere tutti contenuti entro la seconda annualità. L’interpretazione qui accolta meglio risponda all’esigenza di contemperamento dei diritti delle parti, sulla base di una lettura costituzionalmente dovuta delle norme sopra richiamate, anche in considerazione dei più recenti sviluppi della giurisprudenza di legittimità nonché della giurisprudenza della Corte Costituzionale, nelle fattispecie in cui vengano in rilievo norme incidenti sull’esercizio del diritto di azione e sull’effettività della tutela giurisdizionale.

Cassazione Civile, sez. III, 08-01-1999, n. 106
In materia di affitto di fondi rustici il proprietario, prima di potere esperire l’azione di risoluzione per inadempimento, ha l’onere di contestare per iscritto l’inadempimento all’affittuario, ai sensi dell’art. 5 l. n. 203 del 1982 e quindi – con separato atto – di invitarlo al tentativo di conciliazione, ai sensi dell’art. 46 legge citata. L’invio di due atti distinti non è però necessario quando l’inadempimento dell’affittuario sia stato tale da non consentire alcuna possibilità di ripristino (come nel caso di irreversibile trasformazione del fondo): in questi casi, pertanto, contestazione dell’inadempimento ed invito alla conciliazione possono essere compiuti contestualmente.

Tribunale , Nola , sez. agraria , 22/07/2019 , n. 1657
Affinché sia proponibile la domanda giudiziale di risoluzione del contratto di affitto a coltivatore diretto, occorre che sussistano due presupposti processuali, ossia il previo esperimento del tentativo di conciliazione prescritto dall’ art. 46 della L. n. 203 del 1982 , nonché la previa contestazione, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento, degli addebiti all’affittuario a norma dell’art. 5, comma 3, della citata legge. Tale adempimento mira a dare al conduttore la possibilità di sanare le inadempienze entro tre mesi dalla comunicazione, sì da evitare l’instaurazione del giudizio. Quest’ultimo adempimento è speciale, autonomo e separato dal primo, nel senso che il conduttore non può essere convocato dinanzi all’IPA per il tentativo di conciliazione se non sia inutilmente trascorso il tempo concessogli ex lege per adeguare l’esecuzione del contratto alle motivate richieste del concedente. Di talché, è improponibile la domanda di risoluzione nell’ipotesi in cui il concedente con un’unica comunicazione proceda alla contestazione delle inadempienze e richieda l’avvio del procedimento conciliativo.

Cassazione Civile, sez. III, 05-06-1998, n. 5556
La previsione dell’art. 5, comma terzo della legge n. 203 del 1982, secondo la quale, ove il conduttore sani l’inadempienza entro tre mesi dal ricevimento della comunicazione contenente la contestazione dell’inadempimento e le motivate richieste, non si dà luogo alla risoluzione del contratto, si limita a configurare per l’affittuario inadempiente una possibile sanatoria, senza elevare il decorso del termine di tre mesi a condizione di proponibilità dell’azione. Deve pertanto escludersi che la proponibilità dell’azione di risoluzione sia subordinata, oltre che alla contestazione stragiudiziale dell’addebito e al relativo tentativo di conciliazione previsto dall’art. 46 della legge n. 203 del 1982, anche al decorso del termine di tre mesi per sanare l’inadempimento.

Cassazione Civile, sez. III, 25-03-1998, n. 2983
In materia di contratti agrari la unilaterale non autorizzata trasformazione del fondo da parte dell’affittuario può concretare un inadempimento che giustifica la risoluzione del rapporto agrario ai sensi dell’art. 5, comma terzo, della legge n. 203/82, quando modifichi l’originario assetto colturale del fondo, purché la libertà di iniziativa, di organizzazione e di gestione attribuita all’affittuario dall’art. 10 l. 11 febbraio 1971, n. 11 e dall’art. 16 legge 203 del 1982 trova limite nell’obbligo di conservare la struttura funzionale e la destinazione economica del fondo voluta dal concedente, come è reso palese anche dall’art. 5 l. 203 del 1982, che espressamente ricollega il concetto di gravità dell’inadempimento alla conservazione del fondo (nella specie la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto che il limite del rispetto dell’originario ordinamento colturale era da considerarsi violato per avere il conduttore mutato la tipologia d’animale allevato nel fondo: cavalli al posto degli originali bovini). Idem, Cassazione Civile, sez. III, 09-04-1997, n. 3085.

Cassazione Civile, sez. III, 25-02-1998, n. 2037
In tema di controversie agrarie, la non necessarietà della contestazione di cui all’art. 5, comma terzo, della legge n. 203/82 in caso di inadempimento irreversibile del conduttore non comporta, per estensione analogica, la conseguente non necessità del tentativo di conciliazione ex art. 46 stessa legge, attesa la diversità strutturale e funzionale dei due istituti.

Cassazione Civile, sez. III, 20-02-1998, n. 1783
Proposta (ai sensi dell’art. 5, Legge 3 maggio 1982 n. 203) domanda di risoluzione di contratto di affitto agrario per grave inadempimento del conduttore, in relazione agli obblighi inerenti alla normale e razionale coltivazione del fondo, alla conservazione e manutenzione dello stesso e delle relative attrezzature, ove quell’inadempimento (che ha costituito oggetto di previa contestazione al conduttore), pur non esistente alla data della domanda, lo è a quella della decisione – eventualmente a distanza di molti anni – la domanda va accolta, in base al principio per cui le condizioni per l’accoglimento della domanda è sufficiente sussistano alla data della decisione. (Nella specie il giudice, in sede di rinvio, aveva rigettato la domanda, negando, altresì, l’ingresso di una consulenza tecnica sui luoghi, sul rilievo che fosse logico presumere la sussistenza di un mutamento della situazione dei fatti, rispetto alla data dell’introduzione del giudizio in primo grado, che rendeva impossibile accertare se si fosse verificato o meno il grave inadempimento contrattuale di cui al ricorso. La S.C., in applicazione del principio sopra riassunto, ha cassato la pronuncia gravata, censurandola, altresì, nella parte in cui non aveva dato ingresso alla richiesta consulenza tecnica, pur apparendo questa, nella specie, come lo strumento più efficace d’indagine, atteso che il momento logico dell’acquisizione dei dati storici al processo, quanto alle modalità della conduzione, si presentava compenetrato con quello valutativo nel senso che i primi non potevano essere rilevati in modo significativo se non con l’ausilio di particolari competenze tecniche).

Cassazione Civile, sez. III, 29-12-1997, n. 13089
La proponibilità della domanda giudiziale di risoluzione del contratto di affitto a coltivatore diretto è subordinata a due presupposti processuali e, cioè, oltre al previo esperimento del tentativo di conciliazione prescritto dall’art. 46 della legge n. 203 del 1982, anche ad un adempimento ulteriore e speciale, costituito dalla previa contestazione, mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento degli addebiti all’affittuario, a norma dell’art. 5, terzo comma della legge n. 203 del 1982, preordinata a consentire al conduttore di sanare le inadempienze entro tre mesi dalla comunicazione, evitando così l’instaurazione del giudizio. Attesa la diversità di funzione l’adempimento speciale è autonomo, separato e distinto dal primo, nel senso che il conduttore non può essere convocato innanzi all’IPA per il tentativo di conciliazione se non sia inutilmente trascorso il termine concessogli “ex lege” per adeguare l’attuazione del contratto alle motivate richieste del concedente. Consegue che è improponibile la domanda di risoluzione nel caso in cui il concedente con un’unica comunicazione proceda alla contestazione delle inadempienze e richieda l’avvio del procedimento conciliativo.

Cassazione Civile, sez. III, 27-08-1997, n. 8113
Ai fini della risoluzione del contratto di affitto ai sensi dell’art. 5 legge n. 203 del 1982, le cui disposizioni sono applicabili a tutti i rapporti comunque in corso, “de facto” o “de iure”, alla data della sua entrata in vigore, il riferimento a specifiche forme di inadempimento del conduttore è meramente esemplificativo, per cui non esclude la rilevanza di altri comportamenti dell’affittuario.

Cassazione Civile, sez. III, 08-08-1997, n. 7356
Il quesito se, nei rapporti agrari, sia sufficiente a determinare la risoluzione del contratto per inadempimento soltanto il dato obiettivo della sua gravità (ossia la dimensione economica obiettiva della violazione negoziale, in sé e per sé considerata), ovvero concorra, come concausa efficiente della relativa pronuncia, anche l’elemento soggettivo sotteso all’inadempimento (con riferimento tanto alla posizione del debitore che del creditore), va risolto nel senso che la peculiarità della materia impone indagini assai più articolate e composite rispetto alle fattispecie di risoluzione contrattuale ordinaria, con la conseguenza che la gravità dell’inadempimento non andrà dedotta, aprioristicamente, dalla sola, astratta rilevanza della obbligazione violata, ma sarà; il risultato di una valutazione specifica, che tenga conto di tutte le peculiarità del caso concreto, apprezzate, oltre che in ordine alla vicenda obiettiva in cui si concreta l’inadempimento, anche con riferimento al correlato elemento soggettivo “ex latere ambo partium” (ammettendosi, di conseguenza, la facoltà, per il giudice, di escludere la risoluzione, oltre che in caso di inadempimento incolpevole, sinanche in presenza di violazioni di obblighi essenziali da parte dell’affittuario – quale quello del pagamento del canone – ove risulti non equivocamente che il concedente abbia a ciò attribuito una non rilevante importanza con il suo reiterato comportamento di tolleranza).

Cassazione Civile, sez. III, 28-11-1996, n. 10597
Il locatore di un fondo agricolo, che intende agire per la risoluzione del contratto nei confronti dell’affittuario coltivatore diretto, resosi responsabile di una pluralità di inadempienze di cui alcune ritenute dal concedente sanabili ed altre non sanabili, ha l’onere di contestare, nei modi e nei termini di cui all’art. 5 l. 3 maggio 1982 n. 203, all’affittuario tutti gli addebiti per porlo in grado di sanare quelli che a suo giudizio riterrà suscettibili di sanatoria per consentire successivamente al giudice di valutare la gravità dell’inadempimento. In tema di risoluzione del contratto agrario, la facoltà dell’affittuario prevista dall’art. 5, comma 3 l. 3 maggio 1982 n. 203, di sanare l’inadempienza con effetti preclusivi della risoluzione stessa, viene meno soltanto in presenza di violazioni irreversibili o costituenti reati in danno del concedente. In quest’ultima ipotesi non possono ritenersi comprese le costruzioni abusive eseguite sul fondo che, almeno in via diretta, incidono sul rapporto con la p.a. e solo in via mediata sul rapporto privatistico fra concedente ed affittuario.

Cassazione Civile, sez. III, 20-12-1995, n. 12981
Il concedente di fondo rustico che intenda agire per la risoluzione del contratto di affitto, assumendo che il conduttore si è reso responsabile di una pluralità di inadempimenti, ha l’onere di contestare all’affittuario, nei modi e nei termini previsti dall’art. 5 l. n. 203 del 1985, tutti gli addebiti, ancorché ritenuti irreversibili e non sanabili, poichè il conduttore deve essere posto in grado di assumere ogni opportuna iniziativa per sanare le lamentate inadempienze, tenendo anche conto che la valutazione dell’insanabilità deve essere delibata dal giudice del merito per stabilire la gravità dell’inadempimento.

Cassazione Civile, sez. III, 30-10-1995, n. 11343
L’inutile decorso del termine di tre mesi, previsto dalla legge a favore dell’affittuario coltivatore diretto per sanare l’inadempimento contestatogli ai sensi dell’art. 5 legge 3 maggio 1982, n. 203, dal locatore, è condizione dell’azione di risoluzione ed è sufficiente che sussista al momento della pronuncia della sentenza, cosicché non è precluso dal locatore di promuovere il giudizio anche prima che siano decorsi tre mesi dalla ricezione della lettera raccomandata, da lui inviata all’affittuario per contestare l’addebito, ma l’accoglimento della domanda sarà condizionato comunque alla mancata sanatoria dell’inadempimento nel termine di legge da parte dell’affittuario.

Cassazione Civile, sez. III, 9-08-1995, n. 8720
In un giudizio di risoluzione del contratto d’affitto a coltivatore diretto può tenersi conto degli elementi di fatto acquisiti attraverso un procedimento di istruzione preventiva anche se esso sia stato compiuto prima della contestazione dell’inadempienza di cui all’art. 5 della legge n. 203 del 1982, atteso che la finalità di tale procedimento, limitata all’assicurazione della prova, non è idonea a pregiudicare l’esigenza (sottesa alla disposizione del citato art. 5) di prevenire l’instaurazione di un giudizio ed impedire la risoluzione del contratto, consentendo all’affittuario di sanare l’inadempienza.

App. Bologna 20-06-1995
Costituisce grave inadempimento dell’affittuario, tale da giustificare la risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 5 della l. 3 maggio 1982 n. 203: a) l’avere impedito ad incaricati del concedente l’accesso al fondo; b) la realizzazione abusiva di più costruzioni senza il consenso del concedente ex art. 11 e 14 della l. n. 11 del 1971 e senza le prescritte autorizzazioni edilizie. Tali fatti, unitariamente considerati, per la loro natura e consistenza, nonché per la loro reiteratezza nel tempo, costituiscono espressione della volontà dell’affittuario medesimo di non tenere conto alcuno dei diritti e delle prerogative della proprietà e, pertanto, rendono improseguibile il rapporto, avendo minato la fiducia “inter partes”.

Cassazione Civile, sez. III, 13-10-1994, n. 8378
La contestazione dell’inadempimento che il locatore, a sensi dell’art. 5 l. 3 maggio 1982 n. 203, ha l’onere di comunicare al conduttore prima di ricorrere all’autorità giudiziaria per la risoluzione dei contratti di affitto di fondo rustico a coltivatore diretto, non deve necessariamente contenere anche una diffida ad adempiere entro il termine assegnato al conduttore dalla legge per sanare l’inadempimento perché la relativa facoltà deriva al conduttore direttamente dalla legge e può essere, quindi, da questo esercitata indipendentemente dall’invito del locatore.

Cassazione Civile, sez. III, 09-05-1994, n. 4485
In tema di risoluzione dei contratti agrari, l’onere imposto al concedente dall’art. 5 comma terzo, Legge 3 maggio 1982 n. 203 di contestare l’inadempienza all’affittuario prima di ricorrere all’autorità giudiziaria richiede l’illustrazione delle proprie motivate richieste, intese come indicazione dei mezzi per consentire all’affittuario di sanare l’inadempimento nel termine di legge. Ne consegue che in difetto di tale indicazione l’onere della contestazione ex art. 5 cit. può ritenersi osservato da parte del concedente nel solo caso in cui dalla contestazione stessa risulti l’impossibilità del ripristino della situazione provocata dall’inadempimento.

Cassazione Civile, sez. III, 28-04-1994, n. 4042
L’art. 5 della legge n. 203 del 1982 sui contratti agrari – che impone al locatore di contestare all’affittuario, con lettera raccomandata, le mancanze in cui è incorso prima di iniziare il giudizio – ha lo scopo di porre l’affittuario stesso in grado di sanare l’eventuale inadempienza entro tre mesi, evitando così l’instaurarsi di procedimenti giudiziari. Tale adempimento – che deve precedere la convocazione dinanzi all’ispettorato provinciale dell’agricoltura, prevista dall’art. 46 della stessa legge e tendente alla medesima finalità di evitare l’intervento del giudice – costituisce una condizione di proponibilità dell’azione di risoluzione del contratto di affitto e non ammette equipollenti di alcun genere, né può essere sostituito dal ricorso per accertamento tecnico preventivo, rientrando lo stesso nell’ambito della fase contenziosa davanti al giudice.

Cassazione Civile, sez. III, 27-04-1994, n. 3975
In tema di inadempimento dell’affittuario di fondo rustico, viola il dovere di lealtà nell’esecuzione del contratto l’affittuario che omette di comunicare al concedente la destinazione della casa colonica del fondo a luogo di vendita diretta al pubblico di prodotti agricoli e di somministrazione di pasti e bevande nell’ambito di un’attività agrituristica.

Cassazione Civile, sez. III, 24-02-1994, n. 1885
La libertà di iniziativa economica di cui gode l’affittuario di fondo rustico (ai sensi dell’art. 10 della l. 11 febbraio 1971 n. 11) non libera quest’ultimo dall’obbligo di conservare la struttura funzionale e la destinazione economica del fondo, voluta dal concedente, e di astenersi, perciò, dall’infrangere le regole della fedele esecuzione del contratto, dallo sconvolgere l’economia del rapporto e dal ledere l’interesse del concedente, che, nel caso di non autorizzata modificazione colturale, non è necessariamente legato all’entità del reddito ricavabile ma può anche dipendere ed essere apprezzato, anche ai fini della valutazione della gravità dell’inadempimento dell’affittuario, dagli altri vantaggi che il concedente ritrae dal mantenimento delle precedenti colture, dal maggior costo dell’onere di pagamento delle migliorie che su di questo grava e da ogni altro possibile fattore incidente sul rapporto fiduciario.

App. Cagliari 26-02-1994
E’ configurabile la risoluzione del contratto di affitto di fondo rustico, per grave inadempimento, quando l’affittuario abbia realizzato la costruzione di un fabbricato, che alteri la destinazione economica del fondo, poiché tale fatto costituisce inadempimento all’obbligo di fedeltà nell’esecuzione del contratto. In materia di contratti agrari, anche la unilaterale e non autorizzata trasformazione del fondo da parte dell’affittuario può concretare un inadempimento che giustifica la risoluzione del rapporto agrario, ai sensi dell’art. 5 della l. 3 maggio 1982 n. 203, quando modifichi l’originario ordinamento colturale del fondo, perché la libertà di iniziativa, di organizzazione e di gestione, attribuita all’affittuario del fondo rustico dall’art. 10 della l. 11 febbraio 1971 n. 11, e dall’art. 16 della stessa legge n. 203 del 1982 ha limite nell’esigenza di conservazione non solo della generica destinazione agricola del fondo, ma anche della sua originaria configurazione colturale, così come è reso manifesto, oltre che dalle norme del codice civile (art. 1615-1618 c.c.), dall’art. 5 della citata legge n. 203 del 1982 che espressamente ricollega il concetto di gravità (dell’inadempimento) alla conservazione del fondo. (Nella specie, la C.S. ha confermato la decisione del merito, che aveva ritenuto che il limite del rispetto dell’originario ordinamento colturale del fondo era da considerarsi violato dalla sostituzione della maggior parte degli alberi da frutta del fondo con piante ornamentali, molte delle quali in vaso).

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