E’ ormai a tutti noto che l’emergenza sanitaria da COVID-19 ha spinto numerose imprese, soprattutto nel settore alimentare, verso un processo forzato di digitalizzazione. In tale contesto, da un lato, i consumatori sono diventati sempre più attenti nella scelta dei prodotti; dall’altro, le aziende sono state chiamate a fornire strumenti nuovi, finalizzati a sostenere la propensione al consumo dei clienti, che devono essere accompagnati, passo per passo, verso l’acquisto dei prodotti.
Le recenti tendenze di consumo nel settore agroalimentare ed il ruolo che il web assume per la commercializzazione delle relative produzioni rappresentano, dunque, anche un notevole potenziale di valore, che le PMI devono saper cogliere per raggiungere soddisfacenti livelli di competitività, e travalicare i confini locali.
Questa spinta verso la digitalizzazione e al rinnovamento per rimanere competitivi sul mercato ha, tuttavia, messo in evidenza numerose criticità legate all’introduzione e all’uso delle nuove tecnologie, in un settore storicamente inquadrabile nell’old economy.
Prima di analizzare lo sviluppo delle pratiche di e-commerce nel mercato agroalimentare, pare allora corretto intraprendere una breve indagine sui requisiti di questo contratto e sulle sue specificità in relazione alla vendita di beni alimentari online.
1. Il contratto di e-commerce
L’espandersi della rete internet ha dato vita ad un autentico mercato globale telematico, il più delle volte autonomo e distinto rispetto a quello tradizionale, caratterizzato da una notevole rapidità delle transazioni commerciali. Proprio all’interno di tale contesto economico si è progressivamente affermato il contratto telematico1, che può essere inquadrato come una sottospecie dei contratti a conclusione informatica, ossia di quei contratti stipulati mediante l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche.
La disciplina del contratto telematico è piuttosto articolata, in quanto caratterizzata da più livelli di normazione. E’, infatti, soggetta a norme costituzionali, legislative e regolamentari interne, comunitarie e internazionali2. In particolare, il pieno riconoscimento della contrattazione telematica e del commercio elettronico nell’ordinamento italiano è avvenuto per tramite della promulgazione del d.lgs. n. 70/2003, in attuazione della direttiva 2000/31/CE3.
Nello specifico, l’art. 6 della normativa citata prevede che chi intenda svolgere attività di commercio elettronico, o, più genericamente, chi intenda prestare servizi nella società dell’informazione, non è soggetto ad autorizzazione preventiva o ad altra misura di effetto equivalente, ad eccezione dei casi relativi a settori speciali. Ha, invece, l’obbligo di fornire, in modo chiaro e accessibile, e mantenere aggiornate le informazioni obbligatorie generali sulla sua attività (nome, denominazione, ragione sociale, estremi di contatto compreso l’indirizzo di posta elettronica e numero di iscrizione al repertorio delle attività economiche)4. In aggiunta a queste informazioni generali, il prestatore deve fornire le informazioni relative ai singoli beni e servizi offerti, di cui sono considerate parte integrante le comunicazioni commerciali.
L’ambito di applicazione del d.lgs. n. 70/2003 riguarda le attività commerciali svolte in internet ed ha assimilato le vendite online a quelle a distanza, di cui al d.lgs. 185/1999. L’elemento fondamentale dell’intera disciplina è, dunque, il contratto informatico, che si conclude a distanza tramite la rete.
Nel nostro ordinamento non è, tuttavia, presente una definizione normativa di e-commerce5. Parte della dottrina definisce il contratto telematico, come «quel contratto concluso grazie alla trasmissione di dati informatizzati, ossia quegli accordi aventi rilievo giuridico stipulati tra soggetti che impiegano computers (o altri strumenti telematici) tra loro collegati e che siano dunque distanti, la cui interfaccia diretta è rappresentata proprio dallo strumento informatico utilizzato»6.
Lo schema negoziale connaturale dell’e-commerce è la compravendita7: quest’ultima resta, infatti, tale anche se conclusa con mezzi telematici, i quali vanno prevalentemente ad incidere sulle modalità di comunicazione e non sul contenuto degli atti.
I principali strumenti di scambio on line sono:
- la «posta elettronica» (messaggi «one to one»),
- l’«inserzione» telematica, cioè i c.d. messaggi «one to many», che consentono all’inserzionista di formulare una richiesta che potrà essere esaudita con adesioni specifiche;
- il «forum», i «newsgroup» e le «chat», utilizzati per lo scambio di notizie e solo in rari casi per rapporti negoziali;
- infine, l’accesso al sito attraverso la navigazione web che rappresenta la tipologia più diffusa, tuttavia, tale tecnica richiede a carico del «venditore» un costo sia per l’allestimento del sito sia per i contenuti a carattere commerciale.
La nozione di e-commerce , quindi, comprende tutte le attività di tipo commerciale e le transazioni che possono essere effettuate tramite la rete internet dalle aziende, dai privati e dalle pubbliche amministrazioni.
Dal punto di vista soggettivo, le tipologie di commercio elettronico sono:
- business to business (B2B): rapporti tra soggetti professionisti, ossia tra soggetti (persone giuridiche o fisiche) che agiscono nell’ambito della loro attività professionale;
- business to consumer (B2C): rapporti di commercializzazione di beni e servizi tra professionisti e consumatori finali, i quali agiscono «per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta»
La dir. n. 2000/31/CE, ha aggiunto altre sei partizioni:
- consumer to business (C2B), in cui il consumatore instaura un rapporto commerciale con un imprenditore e quest’ultimo si avvale della prestazione effettuata dal primo;
- consumer to consumer o person to person8 (C2C o P2P), che comprende tutte le ipotesi di scambio di prodotto o di servizi effettuati direttamente tra privati (c.d. peer to peer), tra consumatore e consumatore, ovvero intermediate da apposite figure professionali;
- business to public administration/governement (B2Pa o B2Go), ovvero le contrattazioni che riguardano le imprese con le pubbliche amministrazioni nonché le vendite effettuate da quest’ultime;
- administration to community o public administration to citizen (Pa2C o Go2C con acronimo), che attiene ai rapporti tra l’amministrazione ed i cittadini e rappresenta il servizio mediante il quale il cittadino può accedere, attraverso la rete, ai servizi erogati dagli enti pubblici;
- industry to industry, che concerne i rapporti tra imprese strutturate attraverso marketplace e/o sistemi EDI (Electronic Data Interchange).
La forma ordinaria di conclusione del contratto è quella dello scambio di proposta e accettazione, e il contratto si considera concluso nel momento e nel luogo in cui il proponente ha avuto notizia dell’accettazione dell’altra parte (1326 c.c.)9.

Il contratto telematico, che qui ci interessa maggiormente, è quello “point and click”, in cui la trasmissione di volontà non avviene, sia pure informaticamente, tramite lo scambio di dichiarazioni di volontà, ma attraverso la partecipazione ad un complesso meccanismo di formazione nel quale ultimo atto è la pressione del tasto negoziale virtuale. E proprio al termine di questa fase avviene il momento di conclusione del contratto. In altre parole, nei contratti point and click, la spunta sul pulsante negoziale virtuale rappresenta il comportamento concludente espressivo dell’intenzione di concludere il contratto ed è il momento in cui la volontà delle parti contrattuali si incontra, rendendo efficace il contratto stesso.
Al fine della conclusione del contratto è indispensabile che la parte che offre i propri servizi online renda note agli interlocutori le condizioni contrattuali generali e le varie clausole negoziali, anche inserendole in schermate web diverse, purché collegate con un link messo in evidenza ed effettivamente accessibile.
Va, inoltre, ricordato che il legislatore comunitario ha, di recente, effettuato un’opera sistemica di riforma del commercio elettronico, introducendo due nuove direttive: la n. 2019/770/UE, volta a disciplinare i contratti di fornitura di contenuto e servizi digitali, (direttiva sul contenuto digitale); e la 2019/771/UE10, relativa ai contratti di vendita di beni (direttiva sulla vendita di beni)11.
Centrale in queste due direttive è la tutela del consumatore nell’ecommerce, da un lato, regolamentando i contratti di fornitura a contenuto o servizio digitale e, dall’altro, introducendo una specifica disciplina per la vendita di beni con elementi digitali. Più in particolare, la direttiva 2019/771/UE ha introdotto novità sostanziali in materia di conformità dei beni di consumo12.
Va, infine, ricordato che dal 28 maggio 2022 entrerà in vigore la nuova direttiva 2019/2161/UE13, che introduce una serie di sanzioni allo scopo di scoraggiare le pratiche commerciali scorrette e le clausole abusive nei contratti, prevedendo, altresì, delle misure idonee a garantirne l’attuazione.
2. L’e-commerce alimentare
Negli ultimi anni si è sempre più diffusa la consapevolezza che le produzioni agroalimentari tipiche costituiscano un’opportunità per lo sviluppo del territorio cui sono legate. La diffusione di nuove tecnologia permette, ora, di espandere tali produzioni, allargando i confini dell’offerta anche in determinati mercati, difficilmente accessibili per le imprese attraverso i canali tradizionali.
In particolare, un settore in fortissima espansione riguarda l’e-grocery14, ossia il commercio elettronico di prodotti di largo consumo, che appartengono alle categorie: cibo, bevande e cura della persona. L’electronic grocery altro non è, quindi, che la gestione informatica – senza intermediari15– dell’intero percorso d’acquisto di beni alimentari, che inizia con la scelta del prodotto e si conclude con la consegna diretta dello stesso al consumatore. Importantissima è la cura dei contenuti di corredo al bene in offerta: un vero e proprio packaging “digitale”, che va arricchire l’esperienza d’acquisto del consumatore, orfano della possibilità di “toccare con mano” la merce. In altri termini, i contenuti danno l’opportunità di strutturare, raccontare e divulgare la storia del prodotto, in modo completo e coinvolgente, soprattutto in un settore, come quello del food, dove comprendere la genuinità del prodotti ha enorme importanza
3. La normativa per la vendita di prodotti alimentari online
Nel sistema agroalimentare, l’e-commerce si configura, per lo più, come un negozio di tipo B2B (tra imprese che vendono all’ingrosso)16, ma anche e soprattutto come B2C (da impresa ad acquirente/consumatore). Nello specifico, attraverso un’offerta virtuale di prodotti agroalimentari (un catalogo e un carrello della spesa, in cui inserire gli oggetti scelti), l’acquirente potrà concludere la transazione, compilando modulo con i suoi dati e gli estremi di pagamento. L’operazione termina con la consegna della merce ordinata (direttamente nel luogo indicato dal compratore).

In caso di vendita online dei prodotti agroalimentari, la norme citate in tema di commercio elettronico (d.lgs. n. 70/2003) devono essere integrate con il regolamento 1169/2011/UE, che disciplina la fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori. La normativa prevede, in particolare, che sul prodotto in vendita vi sia la presenza di un’etichetta17 che riporti tutti i dati alimentari, al fine di garantire la sua rintracciabilità18 e consentire all’acquirente di conoscere tutte le fasi di produzione, trasformazione e distribuzione dell’alimento194. Allo stesso modo, quando il prodotto è inserito sul catalogo online, tutte le informazioni sopra indicate devono essere disponibili prima della conclusione dell’acquisto20. Il chiaro intento del Legislatore Comunitario è, dunque, quello di offrire degli elevati standard di protezione per il consumatore, concedendogli, da una parte, la libertà di autodeterminazione nell’adozione di scelte consapevoli negli acquisti e, dall’altra, prevenendo ogni pratica in grado di indurre in errore il soggetto debole del mercato21.
La normativa relativa alla vendita di prodotti alimentari online è regolata, oltre che dal Regolamento europeo 1169/2011/UE, anche dal D. Lgs. 114/1998 (Decreto Bersani)22, che impone requisiti morali e professionali. In particolare, non possono vendere alimenti online coloro che non:
- sono stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza, salvo che abbiano ottenuto la riabilitazione
- sono stati condannati per delitto non colposo con una pena detentiva non inferiore nel minimo a tre anni
- hanno riportato una condanna per ricettazione, riciclaggio, insolvenza fraudolenta, bancarotta fraudolenta, usura, rapina, delitti contro la persona commessi con violenza, estorsione
- sono stati condannati per reati contro l’igiene e la sanità pubblica
- hanno riportato due o più condanne, nel quinquennio precedente all’inizio dell’esercizio dell’attività, per delitti di frode nella preparazione e nel commercio degli alimenti previsti da leggi speciali.
Il divieto di esercizio dell’attività commerciale dura per 5 anni a decorrere dal giorno in cui la pena è stata scontata. In caso di società o associazioni i requisiti devono essere posseduti dal titolare o dal legale rappresentante e da altra persona preposta all’attività commerciale.
Quanto ai requisiti professionali per la vendita di alimenti online, ai sensi dell’art. 71 D.Lgs. 59/2010, per aprire un e-commerce di alimenti e bevande, il titolare dovrà avere almeno uno dei seguenti requisiti professionali:
- aver frequentato con esito positivo il corso SAB (Somministrazione di Alimenti e Bevande) che sostituisce il corso REC (Registro Esercenti il Commercio) oggi abolito;
- aver lavorato per almeno due anni, negli ultimi cinque, in proprio o presso un’attività di vendita o di produzione alimentare;
- essere in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore o di laurea, anche triennale, o di altra scuola ad indirizzo professionale, almeno triennale, in un corso di studi su materie attinenti al commercio, alla preparazione o alla somministrazione degli alimenti.
In caso di vendita di prodotti alimentari fatti in casa, oltre agli adempimenti sin qui segnalati, è richiesta la frequentazione di un corso di formazione sul sistema HACCP (Hazard Analysis of Critical Control Point) per l’igiene degli alimenti, la dotazione di una cucina con determinate caratteristiche, l’etichettatura degli alimenti, etc. Il titolare del sito web che vende alimenti è responsabile verso i consumatori delle informazioni che pubblica. Deve, in particolare, assicurarsi di fornire dati corretti e verificati sugli alimenti da lui prodotti. È ugualmente responsabile il titolare del sito che vende alimenti prodotti o confezionati da altri soggetti o che agisce da distributore o intermediario23.
Il Codice del Consumo, infine, impone al venditore di informare l’acquirente sulla possibilità di restituire il prodotto acquistato (diritto di recesso) entro 14 giorni dalla consegna. Tale diritto è, però, escluso per la vendita dei beni che sono “suscettibili di deteriorarsi o scadere rapidamente”. Tra questi possono rientrare i prodotti alimentari e le bevande e gli alcolici se le loro caratteristiche organolettiche e chimico-fisiche sono soggette ad alterazione anche in conseguenza di una conservazione non appropriata.
Il testo integrale del saggio è pubblicato sulla rivista Consulenza Agricola, di febbraio 2022.
Autore: Francesco Tedioli
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