Giurisprudenza in tema di trust ed attività fiduciarie

Principali sentenze nazionali in tema di validità del trust e rapporti dell’istituto con: fiscalità, fallimento, esecuzione forzata, azioni revocatorie ordinarie e fallimentari. Seguono anche alcune pronunce sugli atti di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela riferibili a persone con disabilità, a pubbliche amministrazioni, o ad altri enti o persone fisiche (art. 2645 ter c.c.)

Cass. civ. Sez. V, 24 febbraio 2023, n. 5800
L’istituzione di un trust ed il conferimento in esso di beni che ne costituiscono la dotazione sono atti fiscalmente neutri, in quanto non danno luogo ad un passaggio effettivo e stabile di ricchezza, ad un incremento del patrimonio del trustee, che acquista solo formalmente la titolarità dei beni, per poi trasferirla al beneficiario finale, sicché non sono soggetti all’imposta sulle successioni e donazioni, prevista dall’art. 2, comma 47, del D.L. n. 262 del 2006, conv. in L. n. 286 del 2006, che sarà dovuta, invece, al momento del trasferimento dei beni o diritti dal “trustee” al beneficiario. Solo questa interpretazione è conforme ai principi delineati dall’art. 53 Cost., secondo cui l’imposizione non deve essere arbitraria ma ragionevole, connessa ad un effettivo indice di ricchezza.

Cass. civ. Sez. II Ord., 17-02-2023, n. 5073
In caso di trust “inter vivos” con effetti “post mortem” di tipo discrezionale – nel quale, cioè, l’individuazione dei beneficiari e/o la determinazione dell’entità delle quote loro spettanti è rimessa alla discrezionalità del “trustee” – la tutela dei diritti successori dei legittimari nei confronti del relativo atto istitutivo e dei successivi atti di conferimento è assicurata non già dal mancato riconoscimento del “trust” – in conseguenza della sua nullità per contrasto con l’ordine pubblico interno, ai sensi dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, resa esecutiva in Italia con l. n. 364 del 1989 – bensì dall’azione di riduzione, i cui legittimati passivi devono individuarsi nei beneficiari, ove il “trustee” abbia già eseguito il programma del disponente, dando corso alle relative disposizioni patrimoniali (ovvero allorquando i beneficiari medesimi siano comunque individuabili con certezza), e nel “trustee” nella contraria ipotesi in cui il “trust” non abbia ancora avuto esecuzione (oltre che nel cd. “trust” di scopo, nel quale manca una specifica individuazione dei beneficiari).

Ove alla morte del disponente il trust abbia avuto completa esecuzione, il legittimato passivo dell’eventuale azione di riduzione sarà il beneficiario finale, mentre in ipotesi di trust ancora “in esecuzione” l’azione andrà rivolta nei confronti del trustee. Il beneficiario è del pari legittimato in caso di trust non ancora completamente eseguito, ma sia certa la sua individuazione, perché in ipotesi già operata dal disponente, essendo in tal caso solo differito il momento della concreta attribuzione del vantaggio al beneficiario stesso. In tal caso il legittimario leso potrà agire in riduzione aggredendo immediatamente le attribuzioni liberali delle quali è avvantaggiato il beneficiario, senza quindi dover attendere l’attivazione del trustee, la cui partecipazione al giudizio di riduzione sarebbe giustificata al fine di renderne al medesimo opponibile l’esito. Resta invece ferma la legittimazione del trustee, oltre che nei cd. trust di scopo, nei quali manca una specifica individuazione dei beneficiari, nel caso di trust discrezionale, che non abbia ancora ricevuto attuazione, dovendosi contemperare la certezza dell’esistenza di una liberalità lesiva, con l’incertezza del beneficiario finale, senza però che ciò possa andare a discapito del legittimario che intenda perseguire il proprio diritto alla quota di riserva.

Cass. civ. Sez. II Ord., 02 febbraio 2023, n. 3190
Nel caso in cui una unità immobiliare compresa in un condominio edilizio sia stata conferita in un “trust” traslativo, l’amministratore condominiale, a norma degli artt. 1123 c.c. e 63 disp. att. c.c., può riscuotere “pro quota” i contributi per la manutenzione delle cose comuni e per la prestazione dei servizi nell’interesse comune direttamente ed esclusivamente dal “trustee”, che è divenuto titolare della proprietà dell’immobile ed è perciò tenuto, in quanto tale, a sostenerne le spese, senza che rilevi che il medesimo “trustee” venga o meno evocato in giudizio in tale qualità, non essendo questi un rappresentante del “trust”.

Cass. civ. Sez. V, Ord., 14 marzo 2022, n. 8147, 8148 e 8149 e Cass civ. Ord. 22 marzo 2022, n. 9173
Il trustee acquista la proprietà dei beni conferiti nel trust, ma non gode delle facoltà tipiche del proprietario e non acquisisce alcun vantaggio per sé, assumendo la titolarità di tali beni solo per poter compiere gli atti di gestione e di disposizione necessari al raggiungimento dello scopo per cui il trust è stato istituito. Il trasferimento dei beni al trustee avviene, pertanto, in via strumentale e temporanea e non determina effetti traslativi in favore del trustee, nel significato rilevante ai fini dell’imposizione, quale effettivo e stabile passaggio di ricchezza, poiché non comporta l’attribuzione definitiva dei beni a vantaggio di quest’ultimo, che è tenuto solo ad amministrarli ed a custodirli e, a volte, a venderli, in regime di segregazione patrimoniale, in vista del perseguimento dello scopo del trust.
L’istituzione del trust e la destinazione ad esso di beni o diritti non implicano, da soli, un effettivo incremento di ricchezza in favore del trustee, e, pertanto, non possono costituire un indice di maggiore forza economica e capacità contributiva di quest’ultimo. Né può ritenersi che la costituzione del trust produca un effetto incrementativo della capacità contributiva del disponente, il cui patrimonio non subisce alcun miglioramento

Cassazione civile, Sez. V, sentenza 30 marzo 2021, n. 8719
La “retrocessione” dei beni (non più) segregati, è solo un effetto automatico della cessazione del trust, in nessun modo rilevante ai fini impositivi, perché mero riflesso di quella sopravvenuta inadeguatezza del “vincolo di destinazione” diretto a realizzare l’arricchimento (prospettico o attuale) del beneficiario. Si tratta di operazione negoziale che non si sostanzia in alcun trasferimento di ricchezza in favore del disponente. La reintestazione formale dei beni è atto “neutro”, che, come tale, non può soggiacere al pagamento di imposte che presuppongono la manifestazione di capacità economica. Non è quindi sostenibile l’applicazione delle imposte (ipotecaria e catastale in misura proporzionale), perché le imposte proporzionali presuppongono un effettivo arricchimento dell’avente causa in omaggio al principio di rango costituzionale di capacità contributiva ex art. 53 Cost. La retrocessione del patrimonio in trust appare fenomeno del tutto neutrale, nel tributo successorio e donativo, anche nell’ipotesi in cui i beni che lo compongono non siano gli stessi di quelli a suo tempo segregati.

Cass. civ. Sez. VI – 5 Ordinanza, 25 febbraio 2015, n. 3886
L’atto denominato trust, funzionale, quoad effectum, all’applicazione di un regolamento equiparabile ad un fondo patrimoniale, va qualificato ai fini tributari come atto costitutivo di vincolo di destinazione, con conseguente assoggettabilità alla relativa imposta dei beneficiari della destinazione e responsabilità d’imposta del notaio rogante.

Cass. civ. Sez. VI – 5 Ordinanza, 24 febbraio 2015, n. 3737
Il negozio istitutivo del trust è valido ed efficace con la fissazione del vincolo di destinazione, che conforma i diritti, i poteri, le facoltà e gli obblighi dei trustee, all’attuazione di esso, programmaticamente preordinati, perché in tal fissazione il regolamento trova la propria ragion d’essere, ossia la propria causa. Su tali presupposti il legislatore ha istituito l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione; l’imposta è cioè istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione dei vincoli che non designano negozi me l’effetto giuridico anzidetto. L’imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione è un’imposta nuova accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie.

Cass. civ. Sez. VI – 5 Ordinanza, 24 febbraio 2015, n. 3735
L’atto con il quale il disponente vincoli beni a sé appartenenti al perseguimento della finalità di rafforzamento della generica garanzia patrimoniale già prestata, nella qualità di fideiussore, in favore di alcuni istituti bancari, in quanto fonte di costituzione di vincoli di destinazione, è assoggettato all’imposta gravante su tali vincoli a norma dell’art. 2, comma 47, D.L. n. 262 del 2006, convertito dalla legge n. 286 del 2006.

Cass. civ. Sez. I, 09 maggio 2014, n. 10105
Il trust liquidatorio in presenza di uno stato preesistente di insolvenza non è riconoscibile nell’ordinamento italiano, onde il negozio non ha l’effetto di segregazione desiderato. L’inefficacia non è esclusa né dal fine dichiarato di provvedere alla liquidazione armonica della società nell’esclusivo interesse del ceto creditorio, né dalla clausola che, in caso di procedura concorsuale sopravvenuta, preveda la consegna dei beni al curatore.

Tribunale di Reggio Emilia Decreto 18 dicembre 2013 – 27 gennaio 2014
Anche ipotizzando l’ammissibilità di un “negozio destinatorio puro”, gli interessi meritevoli di tutela devono essere esplicitati nell’atto pubblico di costituzione del vincolo, senza possibilità di ricercare la causa destinationis in altre fonti. L’interesse meritevole di tutela, poi, deve riferirsi al costituente dato che la limitazione della responsabilità patrimoniale ha effetti nel suo patrimonio e rispetto ai suoi creditori.

L’art. 2645 ter cod. civ. non ha coniato una nuova tipologia negoziale, l'”atto di destinazione”; la disposizione è collocata tra le norme sulla pubblicità e, inoltre, mancano gli elementi per individuare la struttura di un simile negozio, la sua natura, la sua causa e i suoi effetti. Il vincolo di destinazione non può essere “autonomo”, bensì deve necessariamente collegarsi ad altra fattispecie negoziale (tipica o atipica).

Tribunale di Bari 23 maggio 2014 – Vincolo di destinazione – art. 2645 ter
Il vincolo di cui all’art. 2645 ter c.c., norma da interpretare restrittivamente per non svuotare di significato il principio della responsabilità patrimoniale del debitore ex art. 2740 c.c., non può essere unilateralmente autodestinato su di un bene già in proprietà con un negozio destinatorio puro, ma può unicamente collegarsi ad altra fattispecie negoziale tipica od atipica dotata di autonoma causa. In ogni caso, anche ipotizzando l’ammissibilità di un negozio destinatorio puro, gli interessi meritevoli di tutela che legittimano il vincolo devono essere esplicitati nell’atto di costituzione, devono essere valutati in modo stringente e devono essere prevalenti rispetto agli interessi sacrificati dei creditori del disponente estranei al vincolo.

Tribunale Cremona 08 ottobre 2013
Il trust liquidatorio costituito quando l’impresa si trovi in stato di dissesto non è ab origine nullo o inefficace ai sensi dell’articolo 13 della convenzione dell’Aja per contrasto con le norme di diritto pubblico che prevedono la liquidazione concorsuale; in detta ipotesi, infatti, la disciplina applicabile sarà quella prevista dall’atto istitutivo del trust o, in mancanza, dalla legge regolatrice prescelta, per il caso di impossibilità del trust di raggiungimento dello scopo.

Tribunale di Reggio Emilia 2 maggio 2012
Il trasferimento al trustee dell’intero patrimonio societario attivo e passivo della società disponente deve, per la validità del trasferimento, portare alla individuazione concreta della consistenza del patrimonio ceduto. Questo requisito non è soddisfatto ove, anziché allegare un inventario dei cespiti aziendali ed un estratto dei libri contabili riportanti debiti e crediti, vi sia uno specchietto del bilancio che indichi voci prive di significato. Infatti, questa indeterminatezza sull’effettivo trasferimento anche delle posizioni creditorie, nell’ambito di una procedura di espropriazione forzata presso terzi, impedisce al giudice di assegnare il credito oggetto di pignoramento al creditore procedente.

Tribunale di Reggio Emilia 26 aprile 2012
Nell’ambito dell’azione promossa per la revocatoria dell’atto di dotazione di un trust è necessaria la chiamata in causa dei beneficiari c.d. “contingent“. Tali beneficiari sono, infatti, titolari di una aspettativa sui beni in trust, e – tale situazione – porta a qualificarli come litisconsorti necessari. Ciò comporta che devono necessariamente essere chiamati in giudizio attraverso l’ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 102 c.p.c.

Tribunale di Reggio Emilia 11 aprile 2012
Il mandato fiduciario ai sensi della Legge 23/11/1939 n. 1966 è “trasparente”, nel senso che la titolarità dei beni fiduciariamente intestati al mandatario appartiene, in realtà, al mandante/fiduciante; conseguentemente, i beni intestati alla società fiduciaria possono essere aggrediti dal creditore del fiduciante, necessariamente attraverso le forme dell’espropriazione presso terzi, poiché il terzo è titolare di una situazione soggettiva idonea a limitare la libera disponibilità dei cespiti da parte del debitore.

Tribunale di Milano 12 marzo 2012
Il conferimento di tutti i beni sociali in un trust con funzioni liquidatorie non è idoneo a consentire l’immediata cancellazione della società dal registro delle imprese: il bilancio finale di liquidazione, in questo caso, si risolverebbe infatti in un documento contabile senza alcuna indicazione circa l’esito delle attività liquidatorie e privo di qualsiasi specificazione dell’ammontare dei residui attivi distribuiti ai soci.

Trib. Urbino, 11 novembre 2011
E’ valida la costituzione di un trust interno ed è lecito lo scopo pratico perseguito dallo stesso e dai correlati atti di dotazione supportati da causa esterna al pari degli atti di conferimento delle società e degli atti di dotazione delle fondazioni.

Trib. Reggio Emilia, 27 agosto 2011
E’ valido il trust interno istituito per proteggere interessi meritevoli di tutela, anche quando è autodichiarato (la figura del “disponente” e quella del “trustee” coincidono). In particolare, è valido il trust interno diretto a “favorire la liquidazione armonica della società , prevenendo azioni giudiziarie e procedure concorsuali”, in cui il disponente, al fine di raggiungere tale finalità , ha segregato i propri beni personali nominandosi trustee nell’interesse dei creditori della società . Inoltre, i beni in trust sono univocamente vincolati allo scopo del trust e, pur appartenendo al trustee, entro certi limiti sono impignorabili.

Trib. Mantova, 18 aprile 2011
Un trust liquidatorio che si ponga come dichiarato scopo quello di tutelare i creditori ricorrendo alla segregazione patrimoniale di tutto il patrimonio aziendale, quando l’impresa si trova già in stato di insolvenza (ed avrebbe pertanto dovuto accedere agli istituti concorsuali),è incompatibile con la clausola di salvaguardia di cui all’art. 15, lettera e) della convenzione dell’Aja 1 luglio 1985. Un trust attuato in tale situazione costituisce un atto privatistico che mira a sottrarre agli organi della procedura concorsuale la liquidazione dei beni in assenza del presupposto sul quale poggia il potere dell’imprenditore di gestire il proprio patrimonio, ossia che l’impresa sia dotata di mezzi propri. Se così non fosse a qualunque imprenditore insolvente che intende evitare il fallimento potrebbe essere consentito lo spossessamento di tutti i propri beni mediante conferimento in trust rendendoli non aggredibili dai creditori. In questo caso, la causa in concreto perseguita dal disponente si pone in contrasto con le norme di cui agli articoli 13 e 15, lettera e) della citata convenzione e comporta la nullità dell’atto istitutivo del trust o comunque la nullità dell’effetto segregativo che ne scaturisce. Lo scopo di protezione dichiarato dal trust costituisce pertanto non un mezzo di tutela del patrimonio nell’interesse dei creditori bensì un abusivo utilizzo del trust finalizzato a sottrarre il disponente alla legislazione concorsuale italiana e comunque un atto negoziale in frode alla legge ex art. 1344 c.c. in quanto mirante a realizzare effetti (la sottrazione del patrimonio dell’imprenditore insolvente ai creditori) ripugnanti per l’ordinamento giuridico italiano.

Il trust cd. liquidatorio istituito quando l’impresa si trovi già in stato di insolvenza può armonizzarsi con l’articolo 15 della convenzione dell’Aja 1 luglio 1985, resa esecutiva dalla legge 16 ottobre 1989, n. 364, esclusivamente alla condizione che contenga clausole che ne limitino l’operatività in caso di insolvenza e che prevedano la restituzione agli organi della procedura concorsuale dei beni conferiti in trust. In difetto di tale previsione, l’atto istitutivo del trust deve ritenersi affetto da nullità in quanto diretto ad eludere le norme imperative che presiedono alla liquidazione concorsuale.

Trib. Reggio Emilia, 14 marzo 2011
Non appare meritevole di tutela il trust costituito dal liquidatore mediante conferimento dell’intero patrimonio societario attivo e passivo con lo scopo dichiarato di agevolare “l’eventuale commercializzazione del patrimonio, prevenendo eventuali azioni revocatorie concorsuali” ed altresì di provvedere al pagamento dei creditori sociali nel rispetto della par condicio qualora, dall’analisi complessiva dell’atto istitutivo, si possa affermare che il trust in esame non fornisca alcuna utilità aggiuntiva alla liquidazione della società se non quella di sgravare il liquidatore dei compiti ad esso imposti dalla legge e di assegnargli la posizione di trustee; ulteriori elementi che inducono a dubitare della meritevolezza di tale tipo di trust possono essere indicati nel fatto che lo stesso sia stato costituito subito dopo l’inizio della messa in liquidazione della società ed induca a ritenere fondato il timore che la sua istituzione sia in realtà finalizzata ad ostacolare le pretese creditorie nei confronti delle società nonché a dilazionare eventuali istanze di fallimento allo scopo di far decorrere il termine annuale cui all’articolo 10, legge fallimentare – R.D. n. 267/1942.

Cass. pen., 30 marzo 2011, n. 13276
Il trust, tipico istituto di diritto inglese, si sostanzia nell’affidamento ad un terzo di determinati beni perché questi li amministri e gestisca quale “proprietario” (nel senso di titolare dei diritti ceduti) per poi restituirli, alla fine del periodi di durata del trust, ai soggetti indicati dal disponente. Presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio.

Tribunale di Milano, sentenza 29 ottobre 2010
Il trust liquidatorio, nel quale l’impresa disponente, in stato di insolvenza, ex art. 5 legge fall., abbia segregato l’intero patrimonio aziendale, deve essere dichiarato nullo, ai sensi degli artt. 1418 cod. civ. e 15 lett. e) della Convenzione dell’Aja del 16 ottobre 1989, n. 364. In base all’ art. 15, infatti, la separazione patrimoniale ed il vincolo di destinazione dei beni, propri del trust, non possono sopravvivere al fallimento del conferente o del trustee, con la conseguenza che i beni di costoro, anche se oggetto del trust, devono essere assoggettati alla disciplina del fallimento. L’atto costitutivo del trust liquidatorio dovrà , pertanto, contenere necessariamente clausole che ne limitino l’operatività in caso di insolvenza, ed, in particolare, che prevedano la restituzione dei beni conferiti in trust al curatore.

Tribunale di Bologna 22 marzo 2010
Autorizzazione del giudice delegato per nomina di legale per la redazione di trust autodichiarato.

Tribunale di Bologna 22 marzo 2010 – Atto istitutivo di trust autodichiarato –

Tribunale Alessandria, 24 novembre 2009
In base all’art. 15 della convenzione dell’Aja, la legge applicabile al trust non può essere d’ostacolo all’applicazione delle disposizioni inderogabili della lex fori, tra le quali rientrano, per espressa previsione, le norme in materia di protezione dei creditori in caso di insolvenza; dall’applicazione di tale disposizione, discende che il trust istituito in violazione di norme inderogabili non è di per sé nullo, ma solo soggetto a quanto diversamente previsto dalla legge del foro.

Qualora l’istituzione del trust comporti la violazione di norme inderogabili previste dalla lex fori, in base al secondo comma dell’art. 15 della convenzione dell’Aja, il giudice dovrà comunque cercare di attuarne gli scopi in modo alternativo.

Dall’applicazione delle disposizioni contenute nell’art. 15 della convenzione dell’Aja, consegue che qualora il trust leda gli interessi dei creditori la tutela a questi accordata sarà quella riconosciuta dalla lex fori in presenza di atti lesivi dei loro diritti, tutela che in Italia si realizza mediante l’azione revocatoria ordinaria o fallimentare.

Benché dal punto di vista del disponente l’atto di trasferimento dei beni in trust abbia carattere gratuito, al fine di determinare la natura gratuita od onerosa di tale atto, occorre fare riferimento al rapporto tra disponente e destinatari, con la conseguenza che avrà natura liberale l’atto con il quale il disponente assoggetta determinati beni al trust con finalità liberali nei confronti dei beneficiari, mentre avrà natura onerosa l’atto con il quale i beni siano destinati all’adempimento di una obbligazione.

Corte d’Appello di Milano, 29 ottobre 2009
Non vale ad escludere lo stato di insolvenza ex art. 5 legge fallimentare, e deve pertanto essere confermata la sentenza dichiarativa di fallimento della società disponente che, prima dell’apertura del concorso, abbia costituito un trust avente ad oggetto l’intero patrimonio societario, quando tale operazione si sia rivelata solo formalmente finalizzata a tutelare i creditori, ed abbia piuttosto dato luogo ad una liquidazione atipica diretta in realtà alla sottrazione-distrazione dei beni sociali rispetto al loro impiego e finalità di regolazione dei debiti (nella specie, il trustee, fallito in proprio e coincidente con il legale rappresentante della società disponente pure dichiarata fallita, a due anni di distanza dall’istituzione del trust non aveva presentato alcun serio programma di liquidazione, né aveva effettuato alcun pagamento a favore dei creditori sociali, verso i quali erano mancate adeguate forme di comunicazione e di fattivo coinvolgimento).

Tribunale di Milano, 16 giugno 2009
In virtù della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, devono ritenersi riconosciuti all’interno dell’ordinamento italiano non solo i trust internazionali – che presentino cioè elementi di estraneità rispetto a detto ordinamento (residenza del disponente, del trustee, dei beni a segregarsi) – ma anche i trust interni, cioè i trust che non presentino alcun elemento di estraneità con l’ordinamento italiano né di carattere oggettivo (avuto riguardo ai beni conferiti in trust), né di carattere soggettivo (in relazione alla persone del disponente ovvero a quella del trustee), ad eccezione della legge applicabile al trust. In linea di principio non può ritenersi incompatibile con la disciplina concorsuale – e quindi abusivo ex art. 13 conv. – un trust liquidatorio che persegua per conto del disponente in bonis finalità di tutela dei creditori quali beneficiari del trust. Nel caso di trust liquidatorio istituito a tutela della massa dei creditori quando la società disponente non era insolvente, la successiva dichiarazione di fallimento di quest’ultima si configura come causa sopravvenuta di scioglimento dell’atto istitutivo del trust, analogamente a quelle ipotesi negoziali la cui prosecuzione è incompatibile con la dichiarazione di fallimento.

Tribunale di Milano, ordinanza 17 luglio 2009
Le azioni di non riconoscibilità del trust ai sensi dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, le azioni ex artt. 43, 44 e 64 l.f., e quelle di nullità e di simulazione del trust, svolte dal fallimento della società disponente nei confronti del trustee, rientrano fra quelle soggette alla vis attractiva del concorso ai sensi dell’art. 24 l.f., trattandosi di azioni che derivano dal fallimento e che in conseguenza del fallimento subiscono una deviazione dallo schema tipico perché di fatto propongono questioni di diritto che vanno decise in base a norme o principi del concorso.

Tribunale di Milano, ordinanza 22 ottobre 2009
Può essere disposto il sequestro giudiziario ex art. 670 cod. proc. civ., con conseguente nomina di un custode giudiziario, sui beni aziendali vincolati da una società in stato di insolvenza in un trust liquidatorio a favore dei creditori, dovendosi ritenere sussistenti tanto il requisito del fumus boni iuris (attesa la nullità del trust stesso in quanto istituito in situazione di insolvenza e, quindi, in definitiva, volto a sottrarre agli organi della procedura fallimentare la liquidazione dei beni aziendali) sia del periculum in mora (atteso il fatto che l’amministrazione dei beni segregati è stata sottratta agli organi della procedura concorsuale e che sono stati compiuti atti dispositivi dei beni stessi in contrasto con gli scopi della procedura stessa senza che alcuna informazione sulla gestione dei beni fosse mai stata fornita al curatore fallimentare).

Deve essere dichiarato nullo ai sensi dell’art. 1418 c.c. e dell’art. 15, lett. e) della Convenzione dell’Aja del 16 ottobre 1989, n. 364, il trust liquidatorio nel quale l’impresa disponente, già in stato di insolvenza ex art. 5 legge fall. – R.D. n. 267/1942, abbia segregato l’intero patrimonio aziendale, poiché le regole pubblicistiche che presiedono alle procedure concorsuali sono derogabili in via privatistica solo in forza di accordi con i creditori (che rappresentino la maggioranza qualificata dei crediti ex art. 182-bis l.f.), ma non attraverso un atto di disposizione che renda il patrimonio dell’impresa del tutto insensibile alle esigenze dell’esecuzione concorsuale e del suo controllo da parte dei creditori.

Tribunale di Torino, ordinanza 5 maggio 2009
Il creditore che abbia esperito vittoriosamente l’azione revocatoria dell’atto di conferimento di beni in trust da parte del proprio debitore, e nei cui confronti detto atto sia stato dichiarato inefficace dal giudice, può legittimamente sottoporre a pignoramento i beni che siano nella titolarità del trustee facendo ricorso alle forme dell’espropriazione presso il terzo proprietario, atteso il venir meno del vincolo segregativo nascente dall’atto istitutivo del trust.

Tribunale di Cassino, 8 gennaio 2009
Ai sensi dell’art. 1 della Convenzione de L’Aja è possibile negare il riconoscimento di un trust “interno” nel caso in cui il ricorso all’istituto e alla disciplina straniera appaia fraudolento, volto, cioè, a creare situazioni in contrasto con l’ordinamento in cui il negozio deve operare. In tal caso, il giudice dovrà valutare se l’atto istitutivo del trust sia o meno portatore di interessi meritevoli di tutela senza limitarsi alla semplice definizione dello scopo, ma estendendo l’analisi al “programma” che si è prefissato il disponente nel momento in cui ha deciso di dar vita al trust.

Posto che la mancata previsione di un corrispettivo è indice di gratuita dell’atto di trasferimento di beni in trust, può essere accolta l’azione revocatoria ordinaria ex art. 2901 cod. civ. di tale atto ove risulti provata, anche per presunzioni, la consapevolezza in capo al debitore disponente del pregiudizio arrecato agli interessi del creditore.

Tribunale di Reggio Emilia, ord. 14 maggio 2007
Ai sensi del’art. 13 della Convenzione dell’Aja 10 luglio 1985 è possibile (al giudice) negare il riconoscimento di un “trust interno” nel caso in cui il ricorso all’istituto e alla disciplina straniera appaia fraudolento, tale per cui il riconoscimento appaia ripugnante all’ordinamento. Si deve dunque valutare se l’atto istitutivo del trust è (o non è) portatore di interessi che sono meritevoli di tutela per l’ordinamento giuridico, senza limitarsi alla semplice definizione dello “scopo”, ma estendendo l’analisi al “programma” che si è prefissato il disponente nel momento in cui ha deciso di dar vita al trust. In altri termini, occorre esaminare la meritevolezza della causa “concreta” del trust. Il trust è, rispetto al nostro ordinamento, uno strumento residuale, al quale ricorrere quando gli ordinari strumenti civilistici non consentono di conseguire il medesimo obbiettivo, che, però deve rappresentare interessi meritevoli di tutela e non ripugnanti per il sistema.

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