L’ordine di distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo fallimentare

L’articolo 111 della legge fallimentare


a) Art. 111 l. fall. ed ordine di distribuzione delle somme ricavate
L’art. 111 l. fall. disciplina l’ordine in base al quale vengono erogate le somme ricavate dalla liquidazione dell’attivo ed individua tre macro categorie di crediti: prededucibili, privilegiati e chirografari. In primo luogo il curatore fallimentare dovrà pagare i crediti prededucibili; poi quelli ammessi con prelazione sulle cose vendute, secondo l’ordine assegnato dalla legge, ed, infine, i creditori chirografari, in proporzione dell’ammontare del credito per i quali sono stati ammessi.
b) L’incidenza della novella sull’ipotesi contemplata al 1° co.
I d.lg. 9.1.2006, n. 5 e 12.9.2007, n. 169 hanno introdotto due disposizioni innovative. La prima è rappresentata dalla definizione dei «crediti prededucibili», termine mutuato dal linguaggio forense, con il quale il legislatore ha superato la distinzione tra «spese», e «debiti contratti per l’amministrazione del fallimento e per la continuazione dell’esercizio dell’impresa». La seconda novità è l’espressa previsione che, salvo alcune eccezioni, anche tali crediti non sono sottratti all’accertamento.
c) Le fattispecie previste nell’art. 182 quater l. fall.
L’art. 182 quater l. fall. individua una nuova serie di crediti prededucibili derivanti da finanziamenti effettuati: da banche e intermediari finanziari, in esecuzione di un concordato preventivo ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti; in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti; dai soci, fino a concorrenza dell’ottanta per cento del loro ammontare. Medesima qualifica rivestono, infine, i compensi spettanti al professionista incaricato di predispone la relazione di cui agli artt. 161, 3° co., e 182 bis, 1° co., l. fall.

1. Introduzione

Scopo principale dell’esecuzione concorsuale è distribuire, a favore dei creditori, quanto ricavato dalla liquidazione dei beni, dall’incasso dei crediti e da ogni sopravvenienza attiva1.

L’art. 111 l. fall., dedicato al riparto, disciplina l’ordine in base al quale devono essere erogate le somme ottenute dalla liquidazione dell’attivo ed individua tre macro categorie di crediti: prededucibili, privilegiati e chirografari2. Queste classi sono collocate su tre distinti livelli gerarchici, così da consentire il soddisfacimento della categoria subalterna solo dopo quello integrale della categoria collocata a livello superiore.

In primo luogo vanno pagati i crediti prededucibili; poi quelli ammessi con prelazione sulle cose vendute, secondo l’ordine assegnato dalla legge, ed, infine, i creditori chirografari, in proporzione dell’ammontare del credito per i quali sono stati ammessi.

Anche all’interno di ciascuna categoria deve essere creata una graduatoria nella possibilità di soddisfacimento, sicché abbiamo una graduazione anche tra i crediti in prededuzione, tra le diverse cause di prelazione ed una all’interno di ciascuna di esse3.

È fondamentale, quindi, individuare l’esatto posizionamento del creditore, situazione da determinarsi non alla data di esecutorietà dello stato passivo, ma a quella del riparto4. Tale criterio trova un’ulteriore giustificazione nelle peculiarità della procedura concorsuale ove un organo esterno al concorso, nello svolgimento della propria attività, assume obbligazioni verso terzi nella frequente ipotesi di insufficienza dell’attivo.

2. La precedente disciplina dei cc.dd. crediti verso la massa

La prima innovazione introdotta dalla novella5 riguarda l’ipotesi contemplata al 1° co., n. 1, ove, in luogo del pagamento delle «spese, comprese quelle anticipate dall’erario, e dei debiti contratti per l’amministrazione del fallimento e per la continuazione dell’esercizio dell’impresa, se questo è stato autorizzato», vi è la più semplice categoria dei crediti prededucibili.

Orbene, nel vigore della precedente normativa, in assenza di una precisa definizione, la dottrina aveva cercato di elaborare un criterio che consentisse di individuare il tratto peculiare ed aggregante dei crediti corrispondenti a tali esborsi, così da giustificarne ad un tempo la valutazione unitaria in antitesi ai crediti concorsuali e la possibilità di usufruire del particolare regime della prededucibilità.

Alcuni Autori individuavano il profilo caratterizzante nell’incidenza soggettiva di tali crediti. Ci si riferisce all’invalsa formula dei «debiti della massa», del fallimento inteso come persona giuridica, dell’ufficio o amministrazione fallimentare oppure, ancora, dei creditori concorsuali intesi nella loro globalità6. Un altro filone interpretativo, non ritenendo soddisfacente la precedente teoria, faceva riferimento all’assunzione dei corrispettivi obblighi da parte degli organi fallimentari nel quadro della loro tipica attività gestoria7. Ma anche questa definizione non appariva corretta, perché non considerava l’inclusione, nella categoria in esame, di crediti alla cui formazione i suddetti organi, neppure indirettamente, hanno partecipato8.

Altra dottrina faceva riferimento a parametri temporali. Venivano così considerati prededucibili i crediti sorti dopo l’apertura della procedura fallimentare, per effetto di obbligazioni assunte dai suoi organi. In altre parole venivano contemplate le spese ed i debiti contratti nell’interesse della generalità dei creditori, per l’amministrazione del fallimento e per la continuazione dell’impresa (ad es., le spese di giustizia, i compensi per il curatore e i professionisti che assistono la procedura, le spese – comprese le imposte – derivanti dalla liquidazione dei beni, gli oneri necessari per la conservazione e l’incremento dell’attivo fallimentare…). Proprio in quanto assunti verso soggetti che non vantano un credito anteriore all’apertura della procedura, queste spese non soggiacciono alla cristallizzazione del passivo ed in caso d’insufficienza dell’attivo sono meritevoli di soddisfacimento prioritario9.

Successivamente prevalse l’opinione che poneva l’accento sulla dimensione funzionale dei crediti in oggetto10. A prescindere dalla derivazione dagli organi fallimentari il credito era prededucibile se ricollegabile alla procedura concorsuale e, quindi, anche indirettamente ai suoi organi (ad es. i crediti assunti da un’impresa in amministrazione controllata o in altre procedure concorsuali minori sfociate poi in fallimento) allorquando le passività fossero state contratte nell’interesse della massa dei creditori11.

Tale orientamento ha trovato conferma anche in una pronuncia della Corte costituzionale12 che ha ritenuto non vi sia alcun trattamento lesivo dei creditori (ancorché prelatizi) antecedenti l’apertura dell’amministrazione concordata, individuando, nella prededuzione accordata ai creditori «susseguenti», un mezzo idoneo a riequilibrare il maggior rischio contrattuale cui questi erano esposti.

Il criterio rimaneva soggetto, però, a notevoli incertezze in ordine all’ulteriore requisito secondo cui la passività contratta nel corso della procedura minore dovesse essere qualificata utile alla massa dei creditori. Così, mentre generalmente i debiti contratti nel corso dell’amministrazione controllata venivano considerati prededucibili in quanto finalizzati alla prosecuzione dell’attività e al salvataggio dell’impresa, quelli contratti nel corso del concordato preventivo non godevano della stessa sorte, in considerazione delle finalità liquidatorie e non conservative del concordato preventivo13.

3. L’attuale definizione normativa di prededuzione (art. 111, 2° co., l. fall.)

La riforma ha cercato di superare i preesistenti ambiti d’incertezza. Come si è già avuto modo di anticipare, i d.lg. 9.1.2006, n. 5 e 12.9.2007, n. 169 hanno introdotto due disposizioni innovative. La prima è rappresentata dalla definizione normativa dei crediti prededucibili, termine mutuato dal linguaggio forense, con il quale il legislatore ha superato la distinzione, priva di rilevanza pratica14, tra «spese», e «debiti contratti per l’amministrazione del fallimento e per la continuazione dell’esercizio dell’impresa». La seconda novità è l’espressa previsione che, salvo alcune eccezioni, anche tali crediti non sono sottratti all’accertamento.

Ora, a seguito delle modifiche apportate, crediti prededucibili sono quelli «così qualificati da una specifica disposizione di legge, e quelli sorti in occasione o in funzione delle procedure concorsuali di cui alla presente legge». Essi debbono essere soddisfatti prioritariamente rispetto a tutti gli altri crediti concorsuali ed a prescindere dall’esistenza di ragioni di privilegio, mediante prelievo diretto dal ricavato della liquidazione dell’attivo.

Il d.lg. n. 169/2007 ha, inoltre, sostituito la parola «debiti» con quella «crediti». Infatti, la più attenta dottrina15 ha sottolineato l’atecnicità del vecchio termine, utilizzato per evidenziare che le obbligazioni non erano contratte dal fallito, ma dalla massa dei creditori, a seguito dell’attività svolta dal curatore. In virtù di questa convinzione si riteneva che se tali crediti fossero rimasti insoddisfatti, non potessero essere fatti valere nei confronti del debitore tornato in bonis16. Appare, invece, corretto l’uso del termine «crediti» prededucibili proprio perché essi non possono essere riferiti alla procedura di fallimento che non è un soggetto autonomo, bensì al solo fallito. Inoltre, tali spese devono essere considerate non dal lato passivo, ma «dal lato del riparto»17, tanto più a seguito della recente estensione legislativa delle modalità di accertamento del passivo anche a queste poste. Va sottolineato, però, che la sostituzione della parola è stata operata soltanto all’inizio del comma, generando, così una disomogeneità lessicale con l’ultimo periodo del medesimo comma, ove rimane ancora il termine «debiti».

Ritornando alla definizione, un credito è prededucibile quando: a) è qualificato tale dal legislatore direttamente o tramite rinvio all’art. 111 l. fall. (artt. 78, 2° co.; 79; 80, 4° co.; 80 bis, 104, 8° co., 182 quater l. fall.); ovvero b) è sorto durante il fallimento o, infine, c) è stato contratto per il pagamento di spese sostenute per l’amministrazione del fallimento.

4. Segue: a) i crediti definiti tali

Il primo criterio non mostra rilievi particolari se non quelli collegati alla necessità di desumere la volontà legislativa dall’analisi ermeneutica della disposizione di volta in volta considerata. Essa può essere una disposizione speciale o la stessa legge fallimentare18. Vanno collocati in questa categoria (e non in quella «crediti sorti nelle altre procedure concorsuali») i crediti specificamente individuati nell’art. 182 quater19e:

  1. derivanti da finanziamenti in qualsiasi forma effettuati da banche e intermediari finanziari, in esecuzione di un concordato preventivo ovvero di un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell’art. 182 bis l. fall.;
  2. derivanti da finanziamenti effettuati dai soggetti individuati in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo o della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano di cui all’art. 160 l. fall. o dall’accordo di ristrutturazione e purché la prededuzione sia espressamente disposta nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato;
  3. in deroga agli artt. 2467 e 2497 quinquies c.c., anche i finanziamenti effettuati dai soci, fino a concorrenza dell’ottanta per cento del loro ammontare;
  4. i compensi spettanti al professionista incaricato di predisporre la relazione di cui agli artt. 161, 3° co., e 182 bis, 1° co., l. fall. purché ciò sia espressamente disposto nel provvedimento con cui il tribunale accoglie la domanda di ammissione al concordato preventivo ovvero l’accordo sia omologato.

5. Segue: b) casistica di crediti occasionati dal fallimento

Un panorama esauriente delle spese indiscutibilmente ascrivibili alla seconda categoria fuoriesce dai limiti naturalmente apposti a questo lavoro, nel cui ambito ci è concessa soltanto una segnalazione di massima delle principali ipotesi. Ciò posto, possiamo rammentare, nel quadro dei crediti sorti in occasione della procedura e, quindi, direttamente riconducibili ai suoi organi (curatore/commissario giudiziale/liquidatore):

1) le spese strettamente inerenti ad ogni procedura e tra esse: a) quelle di giustizia; b) per la corrispondenza ai creditori; c) il compenso per il curatore20 e per gli ausiliari ed i professionisti che lo assistono. In particolare, il giudice delegato è in ogni caso tenuto, ai sensi dell’art. 25, n. 4, l. fall. a provvedere sull’istanza, anche se vi sia insufficienza di attivo. Il creditore vanta, pertanto, un diritto soggettivo alla determinazione del suo credito anche se esso diventerà esigibile solo al momento in cui vi sia disponibilità dell’attivo21. La giurisprudenza ha chiarito che, invece, in mancanza del decreto autorizzativo a stare in giudizio e di nomina del legale ex art. 25, n. 6, l. fall. il compenso al difensore del fallimento non ha carattere prededucibile, ma è un credito concorsuale, poiché la procedura ha, comunque, tratto vantaggio dall’attività del professionista22.

Non vanno dimenticate, infine, d) le spese per il funzionamento del comitato dei creditori ex art. 37 bis l. fall. Vi sono, poi: 2) le spese in qualche modo riconnesse all’amministrazione e liquidazione dei beni costituenti l’attivo fallimentare e tra esse quelle per: a) l’apposizione dei sigilli e per l’inventario23; b) la registrazione/trascrizione/cancellazione della sentenza di fallimento24; c) la gestione, conservazione, custodia dei beni fino alla vendita; d) la pubblicità delle vendite; e) le imposte conseguenti; f) l’intervento in procedure esecutive immobiliari25; g) la cancellazione di iscrizioni e trascrizioni; h) il riscatto di beni in leasing. In questa categoria, ad esempio, va collocata la tassa di possesso relativa a veicoli di proprietà di una società fallita qualora l’obbligo sia sorto dopo la dichiarazione di fallimento26.

L’elenco procede con: 3) le spese derivanti dall’acquisizione di beni pervenuti al fallito successivamente all’apertura della procedura ex art. 42 l. fall. (di accettazione di eredità, quelle bancarie per l’acquisizione di somme affluite sul conto del fallito dopo l’apertura della procedura…); 4) le spese dei giudizi promossi, subiti o riassunti dal fallimento e dovute alla controparte in caso di soccombenza27. In tale categoria sono comprese quelle dei: a) giudizi di reclamo avverso i provvedimenti endo-fallimentari28; b) processi di opposizione, risoluzione ed annullamento del concordato fallimentare29; c) giudizi di rendiconto, nel caso di opposizione proposta dal creditore che si riveli fondata, o, secondo una tesi dottrinaria, anche infondata, se proposta dal fallito, in quanto quest’ultimo sarebbe privo di disponibilità30. Se il giudizio si è svolto in più gradi ed è subentrato il curatore, il fallimento, in caso di soccombenza, dovrebbe pagare anche le spese delle fasi e gradi anteriori31. Non vanno dimenticate, infine: d) le spese del creditore vittorioso nei giudizi di rivendicazione ex art. 103 l. fall. ed in quello di revocazione promosso dal curatore32.

L’elencazione continua con: 5) le obbligazioni contratte dal curatore in relazione ai contratti per i quali ha scelto di subentrare (per alcuni contratti è previsto che debbano essere pagati in prededuzione anche gli oneri maturati prima del fallimento)33. Quanto ai contratti di lavoro, non può essere soddisfatto in prededuzione il diritto all’indennità sostitutiva del preavviso in favore del lavoratore dipendente, il cui rapporto di lavoro si è risolto ex lege a seguito della dichiarazione del fallimento dell’impresa, sua datrice di lavoro, senza continuazione con l’amministrazione fallimentare per le esigenze del fallimento. Il relativo credito, che trova la sua unica causale nel rapporto lavorativo, può essere soddisfatto – in ragione della sua natura privilegiata – come ogni altro credito di lavoro ex art. 2751 bis, 1° co., n. 1, c.c.34. Se, invece, il rapporto sia continuato con l’amministrazione fallimentare dopo la dichiarazione d’insolvenza, il credito va integralmente soddisfatto in prededuzione se trova esclusivo fondamento nella gestione del rapporto da parte del curatore.

copertina obbligazioni e contratti 1

L’indennità di preavviso, anche se maturata in periodi anteriori al fallimento, non è, infatti, frazionabile, e va, quindi, pagata integralmente in prededuzione, a differenza del T.F.R., che è invece frazionabile35.

Va riconosciuta la prededuzione anche ai crediti che hanno titolo nella pronuncia di risoluzione di un contratto, intervenuta nei confronti del curatore fallimentare subentrato nel processo a seguito di riassunzione del giudizio dopo l’interruzione conseguente alla dichiarazione di fallimento. In questa veste, il curatore è, infatti, tenuto a rispondere in relazione sia agli atti comunque ricollegatisi alla gestione dei beni acquisiti alla massa, sia all’attività da lui compiuta a seguito del suo subingresso nei contratti pendenti36. Del pari, nel caso di mancato pagamento degli oneri condominiali da parte di colui che abita l’immobile in forza di un contratto stipulato con il curatore, spetta al fallimento provvedervi, in forza dell’art. 111, 1° co., l. fall.37.

Vanno ricordate poi: 6) le obbligazioni da atto illecito del curatore rese necessarie dalle esigenze della procedura (ad es. il ritardato rilascio dell’immobile per necessità di spostare beni del fallimento38), o derivanti da suo fatto colposo39; 7) la gestione di affari, il pagamento dell’indebito, l’arricchimento senza causa40 ed il risarcimento dei danni da inadempimento dei contratti ove il curatore sia subentrato41. Ha natura prededucibile, pertanto, la ragione di credito che trovi il suo fondamento in un inadempimento verificatosi durante la procedura concorsuale minore ed in relazione ad un contratto la cui prosecuzione sia prevista come modalità di attuazione della procedura medesima42; 8) le obbligazioni tributarie il cui presupposto imponibile è sorto dopo il fallimento: imposta di registro, Invim43, Iva per operazioni compiute dal curatore, Ici44, somme dovute a seguito del condono fiscale45; 9) gli alimenti al fallito, qualora sia stata accolta la relativa istanza ex art. 47 l. fall. anche se è dubbio che sussista, al riguardo, un vero e proprio diritto del fallito46; 10) i crediti nascenti da atti transattivi, conclusi dal fallimento, nonché le obbligazioni nascenti dall’esercizio provvisorio dell’impresa.

Non è, invece, da soddisfare in prededuzione il credito di rivalsa Iva di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di un imprenditore poi dichiarato fallito, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento47. La disposizione dell’art. 6, d.p.r. n. 633/1972, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all’atto del pagamento del corrispettivo, non pone, infatti, una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, cosicché, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l’evento generatore del credito di rivalsa Iva, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso. Il medesimo credito di rivalsa può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all’art. 2758, 2° co., c.c., nel testo di cui all’art. 5, l. n. 426/1975, nel caso in cui sussistano beni – che il creditore ha l’onere d’indicare in sede di domanda di ammissione al passivo – su cui esercitare la causa di prelazione. Nel caso, poi, in cui detto credito non trovi utile collocazione in sede di riparto, non è configurabile una fattispecie d’indebito arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 c.c., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell’Iva di cui alla fattura, poiché tale situazione è conseguenza del sistema normativo concorsuale49.

6. Segue: c) i crediti funzionali alla procedura

Si tratta dei crediti relativi ad oneri, che pur non derivando da attività o iniziative direttamente svolte dagli organi fallimentari, risultino comunque strumentali alla procedura e, quindi, producano risultati utili per il ceto creditorio nella sua globalità50.

Si possono portare alcuni esempi: A) le spese affrontate per il ricorso tributario, con esito positivo, proposto dall’amministratore della società fallita nell’inerzia del curatore. Si tratta di un caso in cui l’onere è stato assunto da un terzo e la cui opportunità di spesa deve essere valutata ex post. B) le indennità per migliorie o addizioni operate su immobili acquisiti all’attivo dal promissario acquirente in bonis o dal compratore il cui acquisto sia stato revocato o sia inopponibile alla massa per tardività della trascrizione.

In questa categoria, non rientrano, invece, le spese processuali affrontate dal creditore istante che abbia vittoriosamente resistito nel giudizio di opposizione alla sentenza dichiarativa di fallimento, anche se egli riveste la qualifica di litisconsorte necessario51. Tali spese non hanno natura concorsuale, né tanto meno costituiscono credito di massa, dovendo restare esclusivamente a carico del fallito opponente e soccombente, nei cui confronti potranno eventualmente essere azionate, quando lo stesso tornerà in bonis52.

7. Segue: una diversa ricostruzione dogmatica delle due categorie

Altra dottrina offre una definizione delle due categorie del tutto opposta, invertendone gli elementi che le caratterizzano. Vengono intesi quali crediti sorti «in funzione» della procedura quelli derivanti da rapporti giuridici posti consapevolmente in essere dai suoi organi, per il perseguimento dei relativi fini (la gestione e l’amministrazione del patrimonio del fallito in vista della soddisfazione dei creditori). Per crediti sorti «in occasione» di una procedura concorsuale s’intendono, invece, quelli nati senza concorso della volontà degli organi della procedura, ma comunque in concomitanza della stessa. In questa categoria rientrerebbero anche le (sporadiche) manifestazioni del fenomeno della tutela dei cc.dd. «creditori involontari», e cioè i crediti originati da fatti illeciti degli organi della procedura (o dell’impresa di cui fosse stato continuato l’esercizio in corso di procedura) di natura extracontrattuale53.

8. Segue: i crediti sorti nelle altre procedure concorsuali

Dal tenore letterale della norma, ed in particolare dal riferimento «alle procedure concorsuali di cui alla presente legge», si palesa la volontà del legislatore di attribuire generalizzata prededucibilità anche a tutti quei crediti sorti (anteriormente) in occasione o in funzione di altri procedimenti concorsuali. In questa categoria vengono, pertanto, ricompresi: la liquidazione coatta amministrativa.54, il concordato preventivo55, il concordato fallimentare e, secondo parte della dottrina, anche gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis l. fall.56, quando abbiano determinato un incremento delle attività o una diminuzione delle passività.

In tema di concordato preventivo, la Suprema Corte, dopo aver ribadito l’ammissibilità della prededuzione anche in questa sede, chiarisce che essa deve corrispondere ai debiti della massa, contratti a causa dello svolgimento e della gestione della procedura, nell’interesse dei creditori. Pertanto, in applicazione di questo principio, la Cassazione ha escluso la natura prededucibile con riferimento al credito per il prezzo di una vendita coattiva, nel caso in cui la citazione per l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre, in relazione al preliminare stipulato quando le parti erano in bonis, sia stata notificata al debitore anteriormente all’apertura del concordato, mentre la sentenza costitutiva sia sopravvenuta quando il concordato era già stato omologato e si era aperta la fase della liquidazione57.

L’espressa previsione dei crediti prededucibili dovrebbe consentire il superamento di quella posizione giurisprudenziale restrittiva secondo cui la prededuzione andrebbe limitata alla sola ipotesi in cui la gestione dell’impresa abbia costituito modalità essenziale del concordato58.

Nessun dubbio sussiste, invece, in ordine all’esclusione dal novero delle procedure concorsuali del piano di risanamento stragiudiziale attestato, di cui all’art. 67, 3° co., lett. d, l. fall. Si tratta, infatti, di uno strumento o meglio di un istituto che è stato concesso dal legislatore della novella al fine di porre un ombrello protettivo nei confronti dell’azione revocatoria, ma non costituisce assolutamente una procedura concorsuale.

Andranno corrisposti, quindi, in prededuzione: il compenso del liquidatore, le spese sostenute nel corso del giudizio di omologazione, in quanto sorte in occasione della procedura di concordato.

Per quanto attiene agli esborsi relativi alla predisposizione della domanda di ammissione al concordato (il compenso del legale che assiste il proponente), la natura prededucibile è tema di vivaci discussioni e non riscuote consensi unanimi. Secondo parte della dottrina59, questi crediti appaiono ricompresi nella diversa tipologia delle spese affrontate «in funzione» di una procedura concorsuale60. La posizione dottrinaria contraria ritiene, invece, che esse siano effettuate «in vista» della procedura, ovvero, se si preferisce, in funzione dell’apertura di una procedura, laddove la norma richiamata dovrebbe riferirsi solo a quelle svolte in funzione di una procedura già aperta. Esse non dovrebbero essere ammesse al passivo, anche perché si favorirebbe in modo così incisivo l’attività di presentazione di una proposta di concordato a prescindere dalla bontà e dall’esito della stessa (poiché è chiaro che il tema si pone soprattutto per l’ipotesi di susseguente fallimento) producendo effetti palesemente iniqui61. Il problema è risolto, in senso positivo, dall’art. 182 quater l. fall. per quanto riguarda il compenso del professionista incaricato di predisporre la relazione che attesta la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del concordato o dell’accordo di ristrutturazione, se ricorrono le condizioni previste nel suddetto articolo.

9. Segue: brevi considerazioni conclusive

È stato osservato che il criterio «della occasionalità e funzionalità» delle spese, nonostante costituisca un passo avanti rispetto al precedente testo, per la sua genericità «non possa comunque dirsi del tutto soddisfacente»62. Tale criterio ingenera, infatti, la possibilità di un’applicazione estensiva ed eccessiva della norma, anche in considerazione del fatto che tali crediti oltre a godere di una «preferenziale» modalità di pagamento si avvantaggiano dell’ulteriore protezione accordata con l’esenzione da revocatoria (art. 67 l. fall.).

10. I crediti di cui al punto n. 2

I crediti ammessi con prelazione, di cui al punto n. 2, sono quelli assistiti da privilegio (generale o speciale, mobiliare o immobiliare) o garanzia reale (pegno, ipoteca). Essi sono soddisfatti, nel concorso, immediatamente dopo i creditori prededucibili. L’importanza di questa disposizione va colta soprattutto nella proclamata applicabilità della disciplina ordinaria (leggi, in primis: della normativa del c.c.) in tema di graduazione delle prelazioni. Si tratta di norme di carattere tassativo, il cui contenuto ricordiamo sinteticamente.

Qualora vi sia una garanzia reale, la sua efficacia è subordinata a requisiti di riconoscibilità esterna, rappresentati, per il pegno, dalla dazione della cosa al creditore, e per l’ipoteca, dall’iscrizione in un pubblico registro.

Anche il privilegio trova sempre la propria fonte in una disposizione di legge (art. 2745 c.c.) che:

  • lo accorda in relazione alla causa del credito;
  • regola l’ordine con il quale devono essere soddisfatti i vari creditori che ne sono muniti e
  • dirime i conflitti che possono sorgere tra i vari privilegiati (artt. 2777- 2783 bis c.c.)63.

Per alcuni privilegi, detti «iscrizionali», sono richiesti ulteriori adempimenti (es. art. 2775 bis c.c. in tema di preliminare di compravendita; art. 2762 c.c. in tema di vendita di macchine); in altri casi ancora (privilegi cd. «possessuali» o «quasi possessuali») è richiesta la persistenza di una relazione tra il creditore e la cosa oggetto del privilegio (es. art. 2756 c.c. per il credito da migliorie di beni mobili, che richiede che i beni si trovino presso chi ha fatto le prestazioni; art. 2764 c.c. per il credito del locatore, privilegiato sui frutti, qualora si trovino ancora nel fondo).

Va ricordato, inoltre, che nella formazione dello stato passivo e nel contraddittorio tra tutti i creditori, viene eventualmente accolta la domanda proposta dal creditore e viene attribuita o meno la spettanza della prelazione. In sede di riparto, invece, non è più possibile mettere in discussione quanto già previsto. La prelazione risultante dal provvedimento di esecutorietà dello stato passivo trova o meno concreta attuazione in funzione della capienza di quanto ricavato. Nell’ipotesi più favorevole, il creditore preferenziale viene pagato per capitale, spese ed interessi. In caso di parziale incapienza della massa o del singolo bene destinato al suo soddisfacimento, egli può partecipare in concorso con i crediti chirografari per la parte non soddisfatta.

In certe situazioni, poi, la natura della prelazione attribuisce al creditore la preferenza anche rispetto ai crediti prededucibili, come avviene nel caso del creditore ipotecario o pignoratizio che non è tenuto a concorrere agli oneri di gestione del fallimento, se non nella stretta misura delle spese necessarie alla conservazione, incremento, liquidazione del bene oggetto della prelazione64.

I privilegi sono distinti in due categorie dall’art. 2746 c.c.: quello generale e quello speciale. Il primo si esercita su tutti i beni mobili del debitore, il secondo soltanto su determinati beni mobili o immobili. Nel conflitto tra creditore assistito da pegno e privilegio speciale sul medesimo bene prevale il primo, mentre – salvo che la legge non disponga diversamente – il privilegio speciale immobiliare prevale sull’ipoteca.

A) Le ipotesi di privilegio generale sui beni mobili sono regolate dagli artt. 2751-2754 c.c., con una graduazione che ne disciplina l’ordine di riparto. Restano, però aperte alcune questioni sulle quali la giurisprudenza è ancora divisa.

Il privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c. talvolta è stato riconosciuto al professionista, appartenente ad un’associazione professionale, purché non sia una società commerciale65, talvolta è stato negato66.

La prelazione dell’amministratore o del liquidatore della società, che per effetto della sentenza della Corte costituzionale 29.1.1998, n. 167 dovrebbe godere del privilegio ex art. 2751 bis c.c., è stata in alcuni casi negata, in considerazione del rapporto di «immedesimazione organica» che li legherebbe alla società, talché non godrebbero di quella «alterità soggettiva» necessaria per sostanziare gli estremi del contratto di prestazione d’opera ex art. 2222 c.c.68.

Il privilegio per provvigioni ed indennità di cessazione del rapporto (art. 2751 bis, n. 3, c.c.), talvolta è stato esteso all’agente che eserciti l’attività in forma societaria69, altre volte è stato limitato ai casi di esercizio in forma di società di persone70.

Non esiste, infine, un indirizzo univoco in ordine alla possibilità di estendere il privilegio di cui all’art. 2752 c.c. ai crediti dei comuni e delle province per imposte, tasse e tributi, previsti dalla legge per la finanza locale. Da una parte si registra un orientamento favorevole ad un’interpretazione estensiva (soprattutto in materia di ICI) del 4° co. dell’art. 2752 c.c.71, dall’altra esiste un indirizzo contrario e restrittivo, per il quale la circostanza che il 3° co. si riferisca solo ad una specifica imposta comunale (sulla pubblicità e le pubbliche affissioni) esclude il privilegio per tributi locali diversi da quelli specificati72.

B) Quanto ai privilegi speciali mobiliari, essi sono disciplinati dagli artt. 2755- 2767 c.c. e da alcune leggi speciali. Anche in questo caso, non è consentita da parte dell’interprete un’estensione analogica dei casi ivi previsti. Il privilegio va concesso, in sede di formazione dello stato passivo, con una valutazione ex ante ed in via astratta. La mancanza dei beni oggetto di privilegio speciale è, pertanto, irrilevante nella fase ricognitiva del privilegio, poiché né incide sulla causa del credito, né sulla qualificazione della prelazione. Essa rileva solo nella fase attuativa del riparto, come impedimento all’esercizio del privilegio stesso73.

Il vettore (creditore assistito da privilegio speciale) ha diritto di ritenere la cosa, ma la sua prelazione non può essere equiparata al pegno74 e, pertanto, a differenza del creditore pignoratizio, è posposto ai crediti di lavoro di cui all’art. 2751 bis c.c.

Il privilegio del locatore ai sensi dell’art. 2764 c.c. fa riferimento esclusivamente alle pigioni ed ai fitti e, quindi, non si estende alle spese accessorie (quali ad es. le spese di riscaldamento o di registrazione del contratto). Il privilegio concesso a favore del locatore non opera, inoltre, in relazione al credito per canoni di affitto d’azienda75.

Alcuni Tribunali ammettono al passivo in via privilegiata ex art. 2755 c.c., per l’importo corrispondente alle spese legali sostenute nel procedimento prefallimentare, il creditore che per primo ha chiesto la dichiarazione di fallimento (causa la meritevolezza della sua iniziativa che ha impedito la dispersione dei beni del debitore76), così individuando un sostanziale parallelismo con il creditore procedente nella procedura esecutiva. La giurisprudenza contraria ritiene indebita, invece, tale analogia ed esclude, comunque, l’automatica applicazione di tutti gli istituti propri dell’esecuzione individuale. Diversamente opinando un privilegio speciale verrebbe trasformato in privilegio generale, in violazione dell’art. 2744 c.c.77. Nonostante queste argomentazioni, alla luce della riforma sembra preferibile il primo indirizzo78.

C) Vi sono, poi, i privilegi speciali immobiliari (artt. 2770-2776 c.c.). Tra essi va ricordato anche l’art. 2775 bis c.c. che attribuisce al promissario acquirente, che abbia trascritto il preliminare nei pubblici registri, un privilegio sul bene immobile, per i crediti derivanti dal preliminare non eseguito a causa del fallimento del debitore. Tale privilegio prevale sulle ipoteche, gravanti sullo stesso bene, anche se iscritte anteriormente alla trascrizione del preliminare79. L’art. 2776 c.c. stabilisce, inoltre, che se alcuni crediti di lavoro, per infermità e funebri, degli Istituti Previdenziali per contributi non hanno trovato capienza nel realizzo della massa mobiliare, allora essi hanno preferenza rispetto agli altri creditori privilegiati sul realizzo degli immobili.

Nell’ipotesi in cui un terzo abbia costituito in pegno la propria cosa a garanzia del debito del fallito, egli non può far valere la prelazione nei confronti della massa dei creditori in quanto il bene non viene acquisito all’attivo80. Nel caso di credito garantito da ipoteca, la prelazione non si estende agli interessi di mora81.

11. I crediti di cui al n. 3

Va esaminata, infine, la categoria residuale dei crediti chirografari, e cioè quella che ricomprende i crediti:

  • cui la legge non attribuisce alcuna prelazione;
  • ai quali attribuisce la prelazione, ma essa non è opponibile al fallimento e, pertanto, è stata esclusa in sede di ammissione al passivo fallimentare;
  • ammessi al passivo in via privilegiata, ma che non trovano capienza in sede di riparto parziale. Essi, in caso d’incapienza, vanno pagati in proporzione dell’ammontare del credito per cui ciascuno di essi fu ammesso.

La disciplina va infine coordinata con quella dell’art. 54 l. fall., secondo cui se i creditori garantiti da ipoteca, pegno o privilegio non sono soddisfatti integralmente, concorrono, per quanto è ancora loro dovuto, con i creditori chirografari nelle ripartizioni del resto dell’attivo.

Essi hanno diritto di concorrere anche nelle ripartizioni che si eseguono prima della distribuzione del prezzo dei beni vincolati a loro garanzia. In tal caso, se ottengono un’utile collocazione definitiva su questo prezzo per la totalità del loro credito, computati in primo luogo gli interessi, l’importo ricevuto nelle ripartizioni anteriori viene detratto dalla somma loro assegnata per essere attribuito ai creditori chirografari. Se la collocazione utile ha luogo per una parte del credito garantito, per il capitale non soddisfatto essi hanno diritto di trattenere solo la percentuale definitiva assegnata ai creditori chirografari.

In sostanza, la norma contempla due possibili ipotesi:

  1. se dalla liquidazione del bene oggetto di garanzia si ricava una somma superiore all’intero ammontare del credito preferenziale si procederà al necessario conguaglio e l’eccedenza sarà destinata ai creditori chirografari;
  2. se quanto ricavato dal bene oggetto di garanzia è inferiore all’ammontare del credito assistito da causa di prelazione, il creditore, per la parte di credito non soddisfatta con l’attribuzione del prezzo del bene vincolato, percepirà la medesima percentuale definitivamente assegnata ai creditori chirografari.

NORMATIVA DI RIFERIMENTO:
Decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169
art. 111 l. fall.
art. 182 quater l. fall

Il testo integrale del saggio è pubblicato su Obbligazioni e contratti, 2011, fasc. 6, pagg. 453-460

Autore: Francesco Tedioli

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