Beneficiario della prelazione è il coltivatore del fondo altrui, in forza di un contratto d’affitto d’affitto. L’art. 31, legge n. 590/1965 dispone che, ai fini dell’esercizio della prelazione, sono considerati coltivatori diretti «coloro che direttamente ed abitualmente si dedicano alla coltivazione dei fondi ed all’allevamento e governo del bestiame, sempreché la complessiva forza lavorativa del nucleo familiare non sia inferiore ad un terzo di quella occorrente per la normale necessità della coltivazione del fondo e per l’allevamento ed il governo del bestiame» La riforma del 2004 ha esteso alle società agricole anche il diritto di prelazione per l’acquisto dei terreni condotti in affitto o confinanti, prima riservato ai coltivatori diretti, ma con un’importante limitazione. Il diritto di prelazione spetta solo alle società agricole di persone in cui almeno la metà dei soci è in possesso della qualifica di coltivatore diretto. Rimane un collegamento con la figura del coltivatore diretto, dato che almeno la metà dei soci devono essere tali. Ciò che conta è il numero dei soci, indipendentemente dalla loro quota di partecipazione. Rimangono sempre escluse dal diritto di prelazione le società di capitali, indipendentemente dalla presenza di soci coltivatori diretti.
GIURISPRUDENZA
Cassazione Civile, 05-11-2021, n. 32016
Sono validi gli accordi in deroga alle norme vigenti in materia di contratti agrari, purché stipulati con la assistenza delle organizzazioni professionali agricole. Ciò postula che il rappresentante di categoria svolga un’attività effettiva di consulenza e di indirizzo e non una mera tacita presenza alla stipulazione del contratto. La violazione della suindicata disposizione determina una nullità c.d. di protezione che, in quanto tale, può essere fatta valere solo dalla parte interessata, la quale lamenti il difetto di assistenza, e non dalla controparte. Muovendo dalla premessa secondo cui il testo normativo non prevede espressamente, come condizione di validità del patto in deroga, la firma da parte dei rappresentanti delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative, questa Corte ha anzi osservato, all’opposto, come non sia sufficiente, ai fini della validità, la pura e semplice presenza dei rappresentanti di siffatte organizzazioni, né tanto meno la sottoscrizione contestuale o successiva del contratto. La sottoscrizione può essere probante, ma non è richiesta obbligatoriamente dalla legge, né costituisce di per sé garanzia della validità dell’accordo. La ratio legis, in altre parole, è nel senso che il patto in deroga, proprio per tale sua natura, esige che la parte che lo stipula sia congruamente informata di ciò che va a firmare, ed è per tale ragione che la legge richiede la presenza di soggetti che, per la loro qualificazione professionale, danno sufficienti garanzie al riguardo; tanto più tenendo presente che tali deroghe riguardano nella maggior parte dei casi, come nel ricorso odierno, la durata del contratto agrario, che la legge fissa di regola in quindici anni (L. n. 203 del 1982, art. 4).
Cassazione Civile, Sez. VI-II 7-1-2021, n. 42
La qualità di coltivatore diretto, legittimante la prelazione ed il riscatto agrari, ex artt. 8 e 31 della legge n. 590 del 1965, va intesa in senso restrittivo, propriamente funzionale alla coltivazione della terra e, perciò, non sussiste in capo a chi si dedica esclusivamente, ovvero in forma assolutamente prevalente, al governo ed all’allevamento del bestiame, giacché l’intento perseguito dal legislatore è quello di favorire la coltivazione di un fondo più ampio, per una maggiore efficiente produzione, nel caso del confinante e di un fondo col quale già sussiste una relazione, nell’ipotesi del titolare di un rapporto agrario. Ne consegue che, pur riferendosi l’art. 31 cit. all’attività di allevamento e governo del bestiame, la qualità di coltivatore
diretto deve considerarsi attinente propriamente alla coltivazione della terra e, per l’effetto, il diritto di prelazione e riscatto è riconosciuto dall’ordinamento a condizione che il soggetto coltivi il fondo (quale proprietario o conduttore, a seconda dei due casi previsti), degradando l’esistenza del bestiame da allevare o da governare al rango di mera evenienza, ovvero di attività complementare alla coltivazione della terra o, comunque, aggiuntiva rispetto alla concreta coltivazione del fondo
Cassazione Civile, Sez. Unite, 01-09-1999, n. 616
Ai fini dell’applicabilità dell’assicurazione per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti, la qualità di coltivatore diretto – rispetto alla quale manca nell’ordinamento una nozione generale applicabile ad ogni fine di legge – deve essere desunta dal combinato disposto degli art. 2 l. n. 1047 del 1957, 2 e 3 l. n. 9 del 1963, con la conseguenza che, per il suo riconoscimento, è necessario e sufficiente il concorso dei seguenti requisiti: a) diretta, abituale e manuale coltivazione dei fondi, o diretto e abituale governo del bestiame, sussistenti allorché l’interessato si dedichi in modo esclusivo a tali attività, o anche in modo soltanto prevalente, cioè tale che le attività stesse lo impegnino per la maggior parte dell’anno e costituiscano per lui la maggior fonte di reddito; b) prestazione lavorativa del nucleo familiare non inferiore ad un terzo di quella occorrente per le normali necessità delle coltivazioni del fondo e per l’allevamento e il governo del bestiame, nonché fabbisogno di manodopera per lo svolgimento delle suddette attività non inferiore a centoquattro giornate lavorative annue; non è pertanto richiesto il carattere imprenditoriale dell’attività, con la destinazione, anche parziale, dei prodotti del fondo al mercato, essendo invece sufficiente che tali prodotti siano destinati direttamente al sostentamento del coltivatore e della sua famiglia, sempre che sussistano tutti i requisiti sopra indicati.