L’istituto della compensazione delle spese di lite ha subito negli anni una una lenta evoluzione sino alla recente pronuncia della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittimo l’art. 92, comma 2, c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni. Il presente lavoro vuole analizzare, seppur brevemente, gli aspetti critici del provvedimento segnalato, nonché offrire una rapida panoramica degli indirizzi seguiti, in materia, dalla giurisprudenza nel più recente periodo.
- 1. La compensazione delle spese processuali nella sua evoluzione legislativa
- 2. Reciproca soccombenza
- 3. La rimodulazione del perimetro della compensazione delle spese giudiziali a seguito dell’intervento della Consulta
- 4. Aspetti critici della decisione e le possibili evoluzioni
- 5. Gravi ed eccezionali ragioni
1. La compensazione delle spese processuali nella sua evoluzione legislativa
A partire dal secondo dopoguerra, l’art. 92 c.p.c. è stato via via rivisitato per limitare la possibilità del giudicante di addebitare o compensare le spese secondo un criterio di massima discrezionalità. Inizialmente, la disposizione prevedeva la locuzione “giusti motivi”1, in base alla quale rientrava nel potere del giudice di merito disporre la compensazione delle spese legali tra le parti, senza dover dare ragione, con una espressa motivazione, del mancato uso di tale sua facoltà2.
Assai di rado, tuttavia, la stessa giurisprudenza, compresa quella di legittimità, si è posta il problema di limitare l’uso “facile” di tale potere. A tentare di arginare questa prassi legalizzata3, è allora intervenuto il Legislatore, con una serie di riforme (l. 14 maggio 2005, n. 80; l. 18 giugno 2009, n. 69), attraverso le quali si è cercato di ridurre la facoltà del giudice di disporre la compensazione delle spese, limitandola alle “gravi ed eccezionali ragioni”4. Non pago dell’ultima modifica, il Legislatore del 2014 ha ritenuto tale disposto ancora troppo permissivo5 e ha individuato tre specifiche ipotesi al ricorrere delle quali si poteva fare ricorso alla compensazione. Più nel dettaglio, la compensazione poteva essere disposta dal giudice, oltre che nei casi di soccombenza reciproca, in quelle di assoluta novità della questione trattata e di mutamento della giurisprudenza nelle questioni dirimenti. Nessun’altra ragione diversa da quelle indicate dal codice poteva, dunque, consentire una deroga alla regola della soccombenza6.
2. Reciproca soccombenza
La prima fattispecie di compensazione rappresenta un ulteriore corollario della regola generale della soccombenza sancita dall’art. 91 e riguarda le ipotesi di:
- rigetto della domanda principale dell’attore e della domanda riconvenzionale del convenuto;
- rigetto delle reciproche domande ed accoglimento solo parziale ed in minima parte della domanda riconvenzionale spiegata dal convenuto7);
- più domande, formulate da tutte le parti, in parte accolte e in parte disattese8;
- più domande – formulate da una parte – di cui non tutte accolte;
- accoglimento parziale dell’unica domanda proposta, allorché essa sia stata articolata in più capi e ne siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri, ovvero una parzialità dell’accoglimento meramente quantitativa, riguardante una domanda articolata in unico capo9.
3. La rimodulazione del perimetro della compensazione delle spese giudiziali a seguito dell’intervento della Consulta
Con provvedimento n. 77 del 2018, la Corte costituzionale ha ritenuto che la che la tassatività delle ipotesi previste dall’art. 92 c.p.c. risulti lesiva del principio di ragionevolezza e di uguaglianza, in quanto esclude altre analoghe fattispecie riconducibili alla stessa ratio giustificativa10. La Corte supera, così, il concetto di tipicità dei casi di compensazione delle spese di lite, prescrivendo all’organo giurisdizionale di ancorare l’elastico concetto delle “gravi ed eccezionali ragioni” a parametri oggettivi11.
Dovranno essere, invece, escluse situazioni strettamente soggettive della parte soccombente, quale l’essere essa la parte “debole” del rapporto controverso12. Le “gravi ed eccezionali ragioni”, dovranno, inoltre, indicarsi esplicitamente nella motivazione e riguardare specifiche circostanze o aspetti della controversia decisa, non potendo, invece, essere espresse con una formula generica inidonea a consentire il necessario controllo13.
4. Aspetti critici della decisione e le possibili evoluzioni
A parere di chi scrive, la riforma del 2014 ha avuto, al contrario, il pregio di “responsabilizzare” chi sceglie di esercitare l’azione giurisdizionale, riaffermando il sacrosanto principio secondo cui l’onere del processo va posto a carico di colui che con la sua posizione antigiuridica vi ha dato causa.
Al contrario, l’aver conferito nuovamente al giudice l’esercizio del potere discrezionale nel momento della liquidazione delle spese di giustizia anche al di fuori dei casi contemplati dall’art. 92 consente di rivitalizzare e, conseguentemente, ascrivere alle “gravi ed eccezionali ragioni” i casi di applicazione di una disposizione legislativa di difficile interpretazione (quali, la complessità delle questioni trattate, la riduzione in corso di causa del quantum della domanda attorea, le difese avanzate dal convenuto che contesta solo parzialmente i fatti o che avanza una proposta conciliativa).
5. Gravi ed eccezionali ragioni
Il giudice adito potrà, ora compensare le spese, anche in quelle ipotesi che, seppur non espressamente considerate dalla disposizione censurata, siano analoghe a quelle tipizzate normativamente, nel senso che devono essere di pari o maggiore gravità ed eccezionalità16.
Attesa la vasta gamma di significati che le nozioni di gravità ed eccezionalità possono assumere nella prassi applicativa, il Giudice però tornerà ad essere nuovamente protagonista, abilitato a decidere se disporre una regolamentazione delle spese di lite non in linea con la “soccombenza piena” di una parte. E, conseguentemente, a breve, riemergeranno le medesime lamentele già evidenziate nella Relazione illustrativa delle modifiche apportate nel 2014. Il nuovo articolo 92, comma 2, c.p.c, infatti, elargirà al giudice – come detto – un amplissimo margine di discrezionalità nella compensazione delle spese, con il risultato che controversie uguali, concluse con sentenze identiche (nei contenziosi seriali, ad esempio in materia di lavoro) potranno essere decise (quanto al carico dei costi del processo) diversamente da ciascun giudice, con buona pace dei principi di uguaglianza che si volevano difendere.
Un altro rischio insito nella decisione è quello di incentivare, nel contenzioso del lavoro, domande c.d. “esplorative” da parte dei lavoratori, per i quali si prospetteranno rischi ridotti (da un punto di vista economico) anche qualora promuovessero controversie poco fondate. La Corte, in verità, ha rigettato la tesi secondo la quale, nel processo del lavoro, la posizione del lavoratore come parte “debole” del rapporto controverso giustificherebbe ex se una regolamentazione diversa delle spese. Questa affermazione è, tuttavia, vanificata nel momento in cui la stessa Corte precisa che il giudice, per decidere sulle spese, dovrà tenere conto del fatto che il lavoratore abbia dovuto promuovere il giudizio senza poter conoscere elementi rilevanti e decisivi nella disponibilità del solo datore di lavoro. Considerato che questa ipotesi ricorre sempre – nessuno infatti, salvi casi eccezionali, è in grado di conoscere gli elementi «rilevanti e decisivi» nella disponibilità della controparte – c’è il pericolo che si torni al passato, quando la condanna alle spese di lite, in caso di totale soccombenza, era un rischio concreto solo per il datore di lavoro.
Il testo integrale della nota è pubblicato su Euroconference LEGAL, 7 maggio 2020
Autore: Francesco Tedioli
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