L’arbitrato irrituale (o libero) è uno strumento di risoluzione delle controversie di natura contrattuale che si conclude con la pronuncia di un lodo che produce soltanto effetti negoziali.
Cass. Sez. I, 10-11-2022, n. 33149
In tema di arbitrato, la decisione del giudice ordinario che affermi o neghi l’esistenza o la validità di un arbitrato irrituale e che dunque, nel primo caso, non pronunci sulla controversia dichiarando che deve avere luogo l’arbitrato irrituale e, nel secondo, dichiari che la decisione del giudice ordinario può avere luogo, non è suscettibile di impugnazione con il regolamento di competenza, in quanto la pattuizione dell’arbitrato irrituale determina l’inapplicabilità di tutte le norme dettate per quello rituale, ivi compreso l’art. 819 ter c.p.c.
Cass. sez. II, 13-04-2022, n. 12058
Posto che l’arbitrato irrituale è un mandato congiunto a comporre una controversia mediante un negozio con questa funzione, deve escludersi la sua assimilabilità al contratto di transazione atteso che la risoluzione della controversia da parte degli arbitri non implica reciproche concessioni tra le parti; peraltro, a differenza dell’arbitrato rituale, la possibilità di attuare i diritti discendenti dall’arbitrato irrituale è rimessa esclusivamente al comportamento delle parti, dovendosi escludere che il relativo lodo possa essere reso esecutivo.
Cass. sez. II, 17 marzo 2022, n. 8698
La clausola compromissoria per arbitrato irrituale contenuta in un regolamento di condominio, la quale stabilisce che siano definite dagli arbitri le controversie che riguardano l’interpretazione e la qualificazione del regolamento che possano sorgere tra l’amministratore ed i singoli condomini, deve essere interpretata, in mancanza di volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le cause in cui il regolamento può rappresentare un fatto costitutivo della pretesa o, comunque, aventi causa petendi connesse con l’operatività del regolamento stesso, il quale, in senso proprio, è l’atto di autorganizzazione a contenuto tipico normativo approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’art. 1136 c.c. e che contiene le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione (art. 1138, comma 1, cod. civ.).
Cass. Civ. Sez. I., 25 gennaio 2022, n. 2066
È inammissibile l’impugnazione di un lodo fondata su questioni relative alla natura rituale o irrituale dell’arbitrato qualora le questioni medesime risultino prospettate per la prima volta in sede di impugnazione, non essendo state mai sollevate in precedenza nel corso del giudizio arbitrale ex art. 817 c.p.c
Cass., Sez. I Civ., 18 maggio 2021, n. 13522
Nell’arbitrato irrituale, il lodo può essere impugnato per errore essenziale esclusivamente quando la formazione della volontà degli arbitri sia stata deviata da un’alterata percezione o da una falsa rappresentazione della realtà e degli elementi di fatto sottoposti al loro esame (c.d. errore di fatto), e non anche quando la deviazione attenga alla valutazione di una realtà i cui elementi siano stati esattamente percepiti (c.d. errore di giudizio); con la conseguenza che il lodo irrituale non è impugnabile per errores in iudicando, neppure ove questi consistano in una erronea interpretazione dello stesso contratto stipulato dalle parti, che ha dato origine al mandato agli arbitri; né, più in generale, il lodo irrituale è annullabile per erronea applicazione delle norme di ermeneutica contrattuale o, a maggior ragione, per un apprezzamento delle risultanze negoziali diverso da quello ritenuto dagli arbitri e non conforme alle aspettative della parte impugnante. Ne consegue che il lodo arbitrale irrituale non è impugnabile per errori di diritto, ma solo per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale, come l’errore, la violenza, il dolo o l’incapacità delle parti che hanno conferito l’incarico e dell’arbitro stesso.
Corte di cassazione, ordinanza 6 maggio 2021, n. 11847
Al fine di distinguere tra arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria con riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti ed al comportamento complessivo delle stesse, senza che il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell’arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell’irritualità dell’arbitrato, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte dall’arbitrato rituale quanto all’efficacia esecutiva del lodo ed al regime delle impugnazioni. In particolare, la presenza di espressioni nel testo della clausola compromissoria quali ad esempio “giudizio arbitrale”, “giudizio inappellabile”, “decisione da assumere senza formalità di rito e secondo equità”, non possono essere interpretate con certezza come espressive della volontà delle parti di pattuire che la decisione venga assunta dagli arbitri nelle forme dell’arbitrato irrituale.
Tribunale di Terni, Sezione civile, sentenza 22 aprile 2021, n. 349
Nell’arbitrato rituale le parti mirano a pervenire ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli effetti di cui all’art. 825 cod. proc. civ. con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale, mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro la soluzione di controversie soltanto attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la decisione degli arbitri come espressione della loro volontà. Ne consegue che ha natura di arbitrato irrituale quello previsto da una clausola compromissoria che enunci l’impegno delle parti di considerare il carattere definitivo e vincolante del lodo, al pari del negozio concluso e quindi come espressione della propria personale volontà, restando di contro irrilevanti sia la previsione della vincolatività della decisione, anche se firmata solo dalla maggioranza degli arbitri (dato che pure l’arbitrato libero ammette tale modalità), e sia la previsione di una decisione secondo diritto, senza il rispetto delle forme del codice di rito, ma nel rispetto del contraddittorio, attesa la sua compatibilità con l’arbitrato libero ed il necessario rispetto anche in quest’ultimo del principio del contraddittorio, in ragione dello stretto collegamento tra l’art. 101 cod. proc. civ. e gli artt. 2, 3 e 24 Cost. ed in linea con l’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (Nel caso di specie, relativo ad un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il pagamento di un indennizzo assicurativo nell’ambito di una controversia insorta tra assicuratore e assicurato sul grado di invalidità permanente, il giudice adito ha disatteso l’eccezione di parte opposta sollevata circa la natura rituale del lodo: quest’ultimo, infatti, doveva ritenersi di tipo irrituale, avendo tutte le caratteristiche evidenziate e funzione di composizione consensuale della controversia con efficacia negoziale e struttura assimilabile ad un mandato a transigere o a stipulare, un negozio di accertamento, sicché poteva essere impugnato non già di fronte alla Corte d’Appello a norma dell’art. 828 cod. proc. civ., bensì in base alle norme ordinarie sulla competenza, facendo valere i vizi di manifestazione della volontà negoziale).
Tribunale Reggio Emilia Sez. II Ord., 27 gennaio 2021
L’opzione interpretativa tra arbitrato rituale ed irrituale è effettuata dal Giudice sulla base dei normali canoni ermeneutici ricavabili dall’art. 1362 c.c., e dunque facendo riferimento alla comune intenzione delle parti così come emergente dal dato letterale e dal comportamento complessivo delle stesse; in caso di dubbio, occorre prediligere la scelta a favore dell’arbitrato rituale, tenuto conto della natura eccezionale dell’art. 808-ter c.p.c. e della deroga alla norma per cui il lodo ha efficacia di sentenza giudiziaria.
Cass. civ. 7 agosto 2019, n. 21059
l fine di distinguere tra arbitrato rituale o irrituale, occorre interpretare la clausola compromissoria con riferimento al dato letterale, alla comune intenzione delle parti ed al comportamento complessivo delle stesse, senza che il mancato richiamo nella clausola alle formalità dell’arbitrato rituale deponga univocamente nel senso dell’irritualità dell’arbitrato, dovendosi tenere conto delle maggiori garanzie offerte dall’arbitrato rituale quanto all’efficacia esecutiva del lodo ed al regime delle impugnazioni. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, ritenendo che le espressioni presenti nella clausola compromissoria: “giudizio arbitrale”, “giudizio inappellabile”, decisione da assumere “senza formalità di rito e secondo equità”, non potessero essere interpretate con sicurezza come espressive della volontà delle parti di pattuire che la decisione sarebbe stata assunta dagli arbitri nelle forme dell’arbitrato irrituale).
Cass. civ. 8 novembre 2018 n. 28511
Nel caso in cui le parti di un contratto di assicurazione affidino ad un terzo l’incarico di esprimere una valutazione tecnica sull’entità delle conseguenze di un evento, al quale è collegata l’erogazione dell’indennizzo, impegnandosi a considerare tale valutazione come reciprocamente vincolante ed escludendo dai poteri del terzo la soluzione delle questioni attinenti alla validità ed efficacia della garanzia assicurativa, il relativo patto esula sia dall’arbitraggio che dall’arbitrato (rituale od irrituale) ed integra piuttosto una perizia contrattuale, atteso che viene negozialmente conferito al terzo, non già il compito di definire le contestazioni insorte o che possono insorgere tra le parti in ordine al rapporto giuridico ma la semplice formulazione di un apprezzamento tecnico che esse si impegnano ad accettare come diretta espressione della loro determinazione volitiva; pertanto non sono applicabili le norme relative all’arbitrato, restando impugnabile la perizia contrattuale per i vizi che possono vulnerare ogni manifestazione di volontà negoziale (errore, dolo, violenza, incapacità delle parti).
